Per chi scrive Measure, doppio album uscito nel 2010, aveva le stimmate del classico: autentico capolavoro di pop evoluto, capace di portare il livello della contesa su vette altissime a cui in pochi hanno provato ad accostarsi. D’altra parte la genialità è di casa nella famiglia Brewis: la coppia di fratelli torna quindi dopo un paio d’anni con la ragione sociale che li ha resi più celebri e che permette loro di sfogare l’estro più “commestibile” e comunicativo, lasciando da parte gli sperimentalismi presenti nei progetti collaterali. Plumb racchiude 15 episodi per poco più di 35 minuti di musica, confermando – anche il precedente Measure, pur essendo un doppio cd, non superava i 70 minuti – che si può suonare in maniera ricercata senza dilungarsi in prolisse composizioni fine a se stesse. È dunque ancora la fascinazione per un pop articolato dalle suggestioni progressive ciò che ispira la creatività dei due inglesi: c’è, in più, l’ambizione neanche tanto nascosta di comporre musica per una ipotetica colonna sonora, avvisabile nei numerosi bozzetti in cui arie sinfoniche creano atmosfere d’attesa, quasi a voler concepire dei climax per possibili scenografie cinematiche. Detto questo, e venendo al nocciolo della questione, bisogna pur constatare che i Field Music il loro capolavoro l’hanno già scritto – il già citato Measure – e che per tale motivo era impresa quasi impossibile ripetersi sui medesimi livelli: Plumb resta tuttavia un buonissimo disco, ancora una volta abbondantemente sopra la media. Quando poi i nostri sciolgono le articolazioni andando a contaminare la loro coolness british con una certa idea di funk al contempo nerissimo e robotico, si crea un’alchimia che è peculiare, punto e basta: ascoltare A New Town per credere. C’è poi un’idea di ritmo schizzata ma che sa tirare il freno proprio quando non diresti (Choosing Sides, Who’ll Pay The Bills?). C’è molta grandeur wilsoniana disseminata un po’ qui e un po’ là (Start The Day Right, So Long Then,How Many More Times? ) c’è un tributo pagato ad un padre putativo (il Paul Mcartney di A Prelude To Pilgrim Street). Senza dimenticare la predisposizione per i numeri pop rock al fulmicotone, roba d’alta scuola che solo gli XTC sapevano fare (Is This The Picture?, (i Keep Thinking About) A New Thing, con un basso caterpillar).
Plumb è un album che conferma tutte le qualità dei Brewis nel saper far propri quarant’anni di pop rock anglosassone, declinando il tutto in un approccio che si avvale sia di notevoli capacità di scrittura, sia di un tasso tecnico da primi della classe.