Jason Forrest non sta bene. Non che questo sia un fatto grave in se per se, anzi, il malessere ha dato alla luce più di una buona idea. Le ultime due sono, in ordine cronologico, Network Awesome, una tv online dove si condividono e si trasmettono video di ogni tipo del passato, dagli episodi dei cartoon di Spider Woman ad altre rarità rintracciabili solo via VHS, e per ultimo questo The Everything, a sei anni di distanza dal precedente Shamelessly Exciting. A parte l’idea del network che da sola, se utilizzata bene, potrebbe farlo miliardario o perlomeno famoso nei circoli nerd americani, questo suo ultimo lavoro denota attenzione. Chiamare un disco “Il Tutto” e poi andarci il più vicino possibile è segno di genio, di pazzia o di entrambe le cose. Forrest riesce in undici tracce a tirare fuori da samples di musica conosciuta o d’essai qualcosa di completamente nuovo e fuori controllo; categorizzarlo riesce difficile, aspettarsi qualcosa di normale e riconducibile a strutture logiche minuto dopo minuto diventa ancora più arduo. Traccia dopo traccia si scoprono atmosfere insolite. New Religion è una melodia zen che potrebbe funzionare come colonna sonora di un livello di Crash Bandicoot, la titletrack parte come una nuova riedizione di Street Fighter sotto forma di musica ma più che si va avanti e più i pixel del videogioco ci annientano e ci portano con se. Raunchy è la traccia più classica, se così possiamo dire, dato che richiama Beck di Odelay, non proprio l’ultima novità di mercato. Da qui in poi solo delirio. The Exquisite Organs accomuna silenzi pesanti con ritmiche stressanti, in sintonia con i Radiohead più caustici. Roger Dean Landscape è breakbeat da paura, con i suoi synths minimali che si ingrossano in crescendo, mentre Keys to the Door è funky sincopato non dalle ritmiche ma dai tagli netti e dalle ricomposizioni acide che Forrest utilizza, con un cut-up violento, quasi si stesse ripassando con la mente rapidamente le note che si susseguono. A chiudere Crime of the Century insiste con il breakbeat, diventando quasi epica, Archive da libero sfogo ai riff ipervelocizzati e alle evoluzioni acrobatiche in stile prog, a riprova la presenza in chiusura di Isolation, Too per chiudere la baracca con il fegato che chiede pietà dopo una corsa da sfinimento. Come vedete, Jason Forrest ha avuto i suoi buoni motivi per chiamare in questo modo il suo ultimo disco. Impellente il bisogno di rimescolare le carte in tavola di ciò che è già stato detto, scritto e suonato. Farlo così è da scriteriati, ma il risultato, apparte qualche fastidio collaterale prossimo alla schizofrenia e alla depressione (malattie ormai onnipresenti in chi vive la post-modernità), è superbo.