Dopo Phylr, Here con Mauro Teho Teardo e Baby Zizanie con JG “Foetus” Thirlwell, l’ex Cop Shoot Cop mostra un ennesimo volto, per tanti versi inatteso, siglando, oltretutto, il primo vero lavoro a suo nome. Non è, evidentemente, la solarità a farla da padrone, tutt’altro; ma delle ruvidezze industrial e delle oscurità electro dub dei progetti precedenti, Trees offre come un riverbero, certo non pacificato, si direbbe più rassegnato.
Ambient elettroacustica, in definitiva; formulata come cosmogonia sonora, attraverso dieci tracce, pensate come fossero una sola, che osservano l’avvicendarsi delle stagioni (Summer Heat), la mutazione degli stadi naturali (Under Current, Rain), l’irretimento panico (Another Place, Dawn). Sono fascinazioni sospese, miranti ai padri nobili (Tangerine Dream, Brian Eno ma anche Main e Stars Of Lid), vestite di un’eco neoclassica, grazie alle note di violoncello di Kristen McCord che accompagnano buon parte dei brani, che lo spettro industriale, in più momenti, riporta ai Current 93 di The Inmost Light. Screziature ritmiche (il vecchio Cop Phil Puleo), appena accennate, appena udibili, in Sideways; Steve Reich nel vibrafono di Tracks; le voci da muezzin (Dawn McCarthy) fantasma di Dawn, puntellata da note sparse di piano; il sax della conclusiva Rain. Per il resto il campo è dell’elettronica (synth, samples, programmazioni, ecc.) dei suoni trovati e di altri inintelligibili.
Ogni innovazione, ogni originalità, è bandita da Trees, che è la celebrazione, ora etnico misticheggiante, ora oscura e tenebrosa, della natura. O forse, meglio, l’addio ad una natura sempre più ferita e distante. Una sensibilità che, certo, non ci si aspetterebbe da chi un tempo cantava cose del tipo: “I asked a pig if he wanted to dance/he says is that a 45 in your pants”.