E’ un rischioso avvicinamento ontologico ad uno dei suoi modelli preferiti quello che O’Rourke costruisce con questo omaggio a Bacharach riempito dalle interpretazioni di ospiti “distonici”. Un’operazione coordinata e per certi versi opposta al magma creativo che costituiva la struttura sfuggente e affascinante di The Visitor, ritorno datato 2009 del nostro, passato pressochè inosservato. “All Kinds of People: Love Burt Bacharach” esce per il solo mercato giapponese e anche se spiace dirlo, per un meccanismo tutto sommato perverso, ma prevedibile, si presenta come un ingombrante re-make di Eureka, privato di quella forza creativa in grado di rileggere il mondo sonoro Bacharachiano a partire dalla ripetizione e dalla dilatazione di una struttura apparentemente impenetrabile che nelle mani di un grande O’Rourke diventava il processo stesso di un nuovo songwriting, una spirale sempre aperta.
O’Rourke produce, suona quasi tutto e si fa affiancare da Glen Kotche (Wilco) alle pelli; il mondo di Burt Bacharach è scandagliato a fondo, dai brani scritti per i Carpenters, fino ai classici interpretati dalla Warwick. Gli episodi migliori della raccolta sono quelli dove la vicinanza al modello è tale da non poter giocare superficialmente sul solo appeal sonoro come per esempio la versione di Close to you rielaborata da un veterano come Horuomi Hosono (Yellow Magic Orchestra), sviluppata a partire da quel procedimento inesorabile che porta il brano altrove; al contrario episodi come quello interpretato da Thurston Moore o da Yoshimi, rivestono i brani di bizzarrie interpretative che rimangono aliene rispetto al contesto; Always Something there to remind per esempio, è la classica rielaborazione Spectoriana condita da rumori innocui (il “Pop” di Moore, al di là di Spector non riesce quasi mai a guardare oltre) che meriterebbe un bello skip.
Non convince troppo Anonymous Phone Call, firmata da O’Rourke stesso, bric a brac post-moderno sentito miliardi di volte, non è un caso che qui O’Rourke ricorra alle sicurezze del pianismo di Kyoko Kuroda e alla voce di Etsuko Yakushimaru, voce dei J-Popper Sotaisei Riron, sembra una sorta di divertissment Zorniano fuori tempo massimo, con una Yakushimaru particolarmente irritante. Che O’Rourke sia coltissimo, non è in discussione, ma è probabilmente la caratteristica più rischiosa, quella che permette a certa stampa di considerare inattaccabile la sua soggettiva privilegiata sul mondo giapponese; After The fox per esempio mette insieme il sax di Akira Sakata con le bizzarrie di un personaggio apolide come Masaya Nakahara; francamente il risultato sembra una tiepida imitazione di quello che si poteva sentire lungo una raccolta Disneyanamente perversa come Stay Awake, altri tempi, senza dubbio, quando il mainstream sapeva produrre e sporcarsi, piuttosto che rifugiarsi in un oriente portatile; in fondo molto meglio quello sputtanato di band come i Pe’z o i Back Horn tanto per citare alcune icone meno frequentate, perchè confuse nel tessuto popolare senza mediazioni.
E’ abbastanza chiaro allora, se si ascolta con attenzione la versione di Do You Know the way to san Jose, che l’ennesimo innesto di vocalità aliene con la morbidezza Bacharachiana non decolla dal classico binomio della sperimentazione per le masse e una loungerie poco incisiva.
Un vero peccato per un maestro dell’intarsio come O’Rourke, basta sentire la splendida coda di Walk On By interpretata da Donna Taylor o ancora una traccia come Trains and Boats and Planes per incazzarsi; quest’ultimo è un brano splendido e sorprendente, corpo liminale vicino a quella sospensione astratta che animava tutte le tracce di Eureka!