Anni di falò tristi, di dancehall sulla spiaggia, di version superflue e cannaroli presi bene per il riddim non sono riusciti ad indebolire la fascinazione che il dub esercita tutt’ora sul sottoscritto. Invero, se applicata con gusto, tale tecnica può portare a remix sorprendenti, che spesso e volentieri rivaleggiano con gli originali in termini di qualità. È opinione di chi scrive, tanto per rifarsi ad un esempio celebre, che il tocco di Mad Professor abbia reso No Protection un prodotto nettamente superiore all’album di cui costituisce la diretta filiazione, ovvero Protection dei bristoliani Massive Attack. A conferma di quanto dimostrava a suo tempo l’opera, Mark Stewart sostiene che le potenzialità creative del dub possano estendersi all’infinito, una volta compreso che il suo terreno d’azione non è racchiuso dai confini Jamaicani. A seguito di un flirt di lunga data con le vibrazioni spettrali – passione che ha portato ad un sodalizio con il guru Adrian Sherwood protrattosi per tutti gli anni ’80 – ecco giungere il primo Mark Stewart (leggi l’intervista al “nostro” qui su indie-eye.it) integralmente In Dub. A pochi mesi di distanza dall’acclamato Politics of Envy, Exorcism of Envy si pone come suo naturale completamento: uno spazio di sperimentazione in cui Stewart indossa le vesti di Padre Karras per costringere il demone sopito all’interno di ogni brano a manifestarsi con chiarezza. Sebbene non sia sbagliato affermare che le composizioni rispecchino il lato oscuro delle proprie omologhe su Politics…, sarebbe riduttivo considerare Exorcism… come un semplice album di remix. Mark smembra e ricompone ogni traccia con indole iconoclasta, dimostrando di non attribuire valenza sacrale nemmeno al materiale da lui stesso creato. In più di un’occasione gli ospiti che partecipavano a Politics… tornano a dare il proprio contributo, modificando radicalmente alcune parti vocali o strumentali, e stravolgendo del tutto gli intenti originari. Exorcism of Envy gode in sostanza di vita propria; possiede una natura autonoma e ribelle che si riflette non solo nella scelta di rinominare i singoli brani, ma anche in quella di alterare completamente la scaletta. Babycino (originariamente Baby Burgeois) e Sexorcist (Stereotype) – le tracce di Politics… in cui gli elementi pop e dance si presentavano in maniera più accentuata – abbandonano completamente i territori electroclash: la prima trasuda umori notturni, pompando i bassi oltre misura e scatenando l’effettistica; la seconda degenera in una mostruosa caricatura industriale. Risultati ancor più interessanti vengono raggiunti in Letter (Full of Tears); laddove la cover di Letter to Hermione si smarcava da Bowie secondo una prospettiva dark/ambient, la versione di Exorcism… si allontana a propria volta da quest’ultima, dando adito ad una serie di mutazioni caleidoscopiche potenzialmente infinita. L’ospite Keith Levene cede al divertissement dell’autocitazione, innestando il potente giro di basso di Swan Lake (da Second Edition dei PIL) sulla traccia vocale di Stewart, così da stravolgere nuovamente il risultato finale. Nemmeno Mark sembra esente da tentazioni narcisistiche, se è vero che il sample da Gymnopédie No.1 che si ascolta su Killswitch (Vanity Kills) fa il verso a quello utilizzato in Stranger than Love, dall’album Mark Stewart del 1987. Attack Dogs stempera l’aggressività funk rock di Autonomia barattandola – tramite un onnipresente suono di charleston, tastiere opprimenti ed effettistica à gò-gò – con un’intensità drammatica sconosciuta all’originale. Per un Dancefloor che più Haunted non si può.