Sempre uguale e sempre diverso, Dayve Hawk, col suo terzo lavoro, conferma e smentisce. Grace/Confusion, che sembra dire già dal titolo di un benaugurale smarrimento, porta i segni di quanto fatto fin’ora dal giovane americano (per dirla alla Bowie) in Seek Magic e Player Piano, con anche i vari progetti paralleli a suo nome (Memory Cassette, Weird Tapes) o in gruppo (Hail Social). Ma, se da un lato le memorie synth pop ’80 virate in pulviscolo ipnagogico avevano già in precedenza animato il suono della sua creatura più celebrata, altrimenti chill a battuta bassa di danzabili ascendenze, dall’altro, mai come adesso, si era così tanto colorato di laser, neon e plastiche ottantine. Mai oleografico, però, giacché gli ‘80 per Dayve, come da dettame hypnagogic del resto, sono un luogo dello spirito atto a sviluppi cerebrali più problematici e articolati di quanto non apparirebbe ad un ascolto superficiale, tanto da complicare il verbo sintetico in una moltitudine di stimoli, che di volta in volta trascinano i sei brani dell’album in ambienti inattesi, prolungando i tempi stessi di quell’ascolto radiofonico che pure continua ad emergere prepotentemente e che, anzi, dà le direttive all’intero lavoro.
I brani dell’album sono lunghi e liberi nelle strutture; forti di ganci melodici di facile presa abbandonati, però, dopo due strofe in favore di affondi progressivi che sembrano non avere alcuna direzione. Così Neighborhood Watch, che su base Sunshine Reggae modula uno spartito Duran Duran, poi disintegrato in una coda senza fine di distorsioni ed echi siderali o il disco-pop di Thru the Field, dagli arpeggi euro à la Telex, condotta, attraverso funkysmi pallidissimi, su spiagge decorate dalle palme fluorescenti di Marco Lodola.
In Safety, Sheila e Let Me Be il ritmo riprende ad essere centrale nell’economia dei pezzi e Follow Me chiude tra sdilinquimenti di chitarre in chorus, cori femminili, tempi house ed echi YMO. E mentre tutto intorno è un florilegio di cascami Discoring che sembrano richiamare, ora la Deejay’s Gang ed il mai dimenticato Gazebo; ora gli Yes di 90125 o i Genesis che piacevano a Patrick Bateman (American Psycho); ora gli Human League con i sintetizzatori distorti ad imitazione delle chitarre elettriche ed un Last Christmas a scelta, emergono effluvi 2step, umori postglitch ed armonie Pink Floyd che risolvono in cronosisma i mille input di una musica profonda come un trattato di filologia contemporanea e fugace come una bolla di sapone.