Momento difficile per la storica etichetta di Chicago che da un po’ naviga in cattive acque. La prima conseguenza immediata è l’annuncio di un «ritorno alle radici». Quale strategia commerciale possa esserci dietro tale professione viene lasciato all’immaginazione. Più evidente è invece il suo significato sul piano squisitamente musicale. Il primo, ottimo assaggio del ‘nuovo’ corso è stato il sorprendente album di esordio di Sholi [ recensito da questa parte su Indie-eye ] che ha riportato in primo piano asperità e distorsioni dei tempi che furono, adesso tocca ai Mi Ami, progetto nuovo ma animato da facce già conosciute. Si tratta di Daniel Martin-McCormick alla voce e chitarra e Jacob Long al basso, già membri dei rimpianti Black Eyes (Dischord), e qui raggiunti dal batterista Damon Palermo. Rispetto a Sholi, le distorsioni dei Mi Ami si muovono su un territorio terremotato e poco incline a lasciare spazio alla melodia. L’elemento più valorizzato e onnipervasivo in questo caso è il ritmo: incalzante, dispersivo, tribale e imprevedibile. Le percussioni sono in primo piano ma anche il basso dà un contributo fondamentale a creare un suono denso e spesso, lacerato dagli improvvisi fendenti chitarristici dal sapore indubitabilmente post-punk. Il risultato è un ibrido mostruoso che fonde math-rock e jazz, dub e improvvisazione, per affidare il tutto alle incursioni vocali di Martin-McCormick che ricordano da vicino i singulti di uno Ian Svenonius in deliquio. La fisicità del suono e la varietà delle suggestioni permettono di assorbire agevolmente i brani quasi sempre spigolosi e a volte lunghi dell’album, ma ugualmente è difficile giungere alla fine di «Watersports» senza avvertire un po’ di fatica. Più per l’attitudine che per il suono, caldamente consigliato agli estimatori di Thank You, Sic Alps e Black Dice.