L’interesse di Philippe Petit per il mondo delle colonne sonore è storia vecchia almeno quanto la sua discografia, costantemente proiettata verso una ricontestualizzazione del patrimonio tra la musica colta e quella scritta per il cinema; questa nuova trilogia annunciata muove dal surrealismo visivo di Lewis Carroll per tradursi in un recupero sonoro di materiali tematici e timbrici prelevati da numerose tradizioni. Tra strumenti “virtuali”, pattern ritmici e l’utilizzo di un Cymbalum modificato, Petit assembla detriti del ventesimo secolo da Hermann, Sibelius, Bernstein, Berlioz passando per alcune evocazioni proto-elettroniche che ricordano l’esperienza di Gino Marinuzzi Jr. e trasforma il tutto in un’esperienza ciclica e spettrale dal fascino perverso. Diviso in otto movimenti, questo primo capitolo di Extraordinary Tales of A lemon Girl tende progressivamente a creare un senso di crescente disagio nell’ascoltatore, con una sezione centrale che integra addirittura (almeno così ci è sembrato) l’orgasmo di Edda Dell’orso in Autostop Rosso Sangue di Morricone in un delirante uso di sonorità tra organico e inorganico molto vicino all’esperienza più estrema di Matmos. Non disdegnando affatto i suoni di un’elettronica più triviale, da Carpenter alle colonne sonore dei B Movies anni ’80 (quelle per i film di Lustig e le prime cose di Carter Burwell tanto per citare i due esempi più tipici) Petit sembra aver capito alla perfezione quel senso di malessere che era presente nel patrimonio sommerso della musica (soprattutto Italiana) per il cinema, un buco nero di sperimentazione quasi rituale, minaccia nascosta e puntata su tutta la tradizione colta del ‘900 scolastico.