La prima raccolta di brani inediti composti da Rachel Grimes dopo i sei anni di silenzio che separano l’ultima uscita come Rachel’s colpisce per brevità; la forma dilatata di album come The Sea and the bells, Selenography e il primissimo Handwriting lascia il posto ad una serie di bozzetti che raramente superano i tre minuti. In un certo senso i due episodi Rachel’s che più si avvicinano a Book of Leaves sono Music for Egon Schiele per il suo impatto minimale e System/layers per la riduzione della forma melodica ad un sistema vero e proprio di stratificazioni e di evocazioni astratte. Ovvio che il suono sia diverso e che l’indicazione “for solo piano” posta in calce al titolo dell’album sia un segnale molto chiaro di riappropriazione di un comporre intimo e personale. Le tracce contenute all’interno di Book of Leaves hanno visto la luce in una versione embrionale nel progetto filmico di Greg King, un sistema ciclico composto da 14 cortometraggi, realizzato in formato ridotto come se fosse un viaggio puramente percettivo, una meditazione del tutto personale sulla vita urbana tra Louisville e NYC.
Questa suggestione visionaria rimane attaccata alle quattordici tracce di Book of Leaves, dove l’anima dei Rachel’s è riproposta per sintesi senza abbandonare la forza di una scrittura che sta a metà tra stupore melodico e pittura interiore. Non è difficile abbandonarsi all’evocazione lieve di “the corner room”, episodio sontuoso ed essenziale che fa da preludio all’evanescenza di “She Was here”, esempio fulgido di una struttura compositiva fatta di interruzioni, pause, rapporto dinamico tra pieni e vuoti che nella discografia dei Rachel’s raggiungeva un effetto apparentemente più potente grazie all’impiego di volumi diversi. La forza di Book of Leaves sta allora in questa maggiore semplicità che è anche radicalità e aderenza ad una scrittura rigorosa e allo stesso tempo ellittica; è il caso della funebre “On the Morrow”, della Mertens-iana “My Dear Companion” oppure della risonanza dilatata di “Far Light”, una luce nella nebbia che prende spunto dalla lezione di Satie. Tutta la forza drammatica che attraversava alcuni episodi del vecchio repertorio sopravvie nella sua cristallina nudità in tracce come “Bloodroot” e “the side view”, composizioni agli antipodi ma capaci di delineare uno spazio sonoro in continua tensione, nel primo caso con un incedere rutilante, mentre l’altra traccia disegna delle ellissi astratte e visionarie. “Every Morning, Birds” e “Bed of Moss” chiudono la prima raccolta solista di Rachel Grimes con una forza impressionista capace di dipingere i suoni della natura con colori scuri e limpidi.