Accade di raro di poter parlare di “ultimo album” andando a cogliere nell’esatto senso dell’aggettivo. Post-Krieg è, nel senso stretto della parola, l’ultimo album di Simona Gretchen, novella produzione di casa Disco Dada Records con la quale la musicista faentina si congeda dal panorama sonoro.
Trenta minuti che fanno di Post-Krieg una silloge di rimandi filosofici e letterali; da Nietzsche a Artaud, oltrepassando l’oceano fino a Ellroy. In ognuna delle otto canzoni che scandiscono l’album, è possibile scorgere la tendenza a rendere di Post-Krieg una rappresentazione in più parti, un percorso ideale che pretende e richiede un ascolto attento e totale. I brani denotano una forte intensità strumentale dove si concentrano le tonalità grevi quasi monacali dell’album. Post-punk, post-rock, post-gothic; sono molti i generi cui l’album potrebbe essere paragonato. Onde evitare di cadere in questo gioco terminologico, potremmo dire che con Post-Krieg sembra quasi di vedere in Simona Gretchen un’erede dei Massimo Volume. La stessa impossibile conciliazione fra testo e musica, fra suono della voce e timbro degli strumenti, presentata distintamente nella title track. Uno scontro che trova una breve sosta in Hydrophobia, una declamazione eremitica, medievale, intensificata dall’espressività delle percussioni, ripresa nella strofa di Everted (part II). Ne risulta un lavoro dalla personalità definita, selettivo ed elitario per scelte estetiche, dove il contributo di musicisti come Nicola Manzan (Bologna Violenta), Paolo Mongardi (Zeus!, Fuzz Orchestra, Ronin) e Paolo Raineri (Junkfood) ha costituto un apporto significativo.
Non è la parola fine quella che vogliamo accompagni l’ultimo album di Simona Gretchen, quanto l’idea di passaggio. Pertanto, nell’attesa di vedere in quale creatura muterà l’attuale chimera, è consigliabile lasciarsi inghiottire dalla granitica possenza di Post-Krieg. Un album viscoso, impossibile da farsi scivolare addosso, ma aderente come una seconda pelle.