Dopo l’omonimo esordio del 2009 i parigini Yeti Lane tornano in forma di duo, composto da Ben Pleng e Charlie B, e con un suono totalmente rivoluzionato; sia per quel che concerne l’uso dell’elettronica, che qui acquista un ruolo di maggiore rilevanza e che sembra guardare più alla library music che non ai Kraftwerk, sia per l’uso delle chitarre. A partire dall’incipit di Analog Wheel, che è tutto un pulsare elettronico doppiato da sfarfallii di synth analogici che prende poi la via di un motorik ostinato, su cui i nostri stendono vocalizzi in eco siderale dalle armonie The Piper at the Gates of Dawn, montando un muro distorto in crescendo continuo.
Coordinate dell’intero lavoro tracciate su un asse ideale che, se da una parte ha gli Amon Düül II di Yeti e dall’altra i Beatles di Penny Lane, come vuole la ragione sociale, dall’altra ha una salsa kraut-psych-shoegaze-pop fatta di Neu, Air e My Bloody Valentine. Qualcosa dei primi Toshack Higway, qualcosa dei Soft Cell e qualcos’altro dei Deerhunter anima tanto la titletrack che Warning Sensations o la più danzereccia Logic Winds; mentre la melodia di Strange Call è puramente ’60. Alba è una sospensione french pop fm alla Sébastien Tellier screziata da tastiere vintage e Dead Tired sono i Telext su Psycho Candy, entrambe affogate in gorghi di feedback in riverbero. David Ivar Herman Düne, oltre a prestare la voce al singolo Sparkling Sunbeam, ne influenza la scrittura, producendosi in un indie pop glam con velleità da stadio, e Faded Spectrum chiude il disco sotto una coltre noise; non fosse per un’ultima vera traccia, senza titolo come altre tree che intermezzano l’album, che è lo spettro di una canzone appena apparso e già volato via. Melodici, rumorosi, molto francesi, bravissimi.