Eric Metronome; un fenomeno, nei suoi molteplici segni e significati. Comincia da ragazzino e prende maledettamente sul serio le sue cassette autoprodotte, prima insieme ad una band di nome Tiara; poi quando questi si trasformano in un progetto serio, inventandosi il moniker di Metronome per l’uso intensivo di un metronomo per pianoforte acquistato da Eric per acchiappare i tempi giusti durante le registrazioni. Si lascia trascinare in una serie di progetti di impostazione rigorosamente DIY e nel 2000 cambia il suo nome da Metronome ad Eric Metronome per non farsi confondere con una band inglese decisamente più famosa di lui. Onora Elliott Smith con una valanga di cover, e si lascia coinvolgere da questa nuova ossessione aprendo un blog chiamato 52 covers in 52 weeks, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Per ora ne ha pubblicate poco più di una ventina e l’ultima in ordine di tempo è uscita ieri l’altro; non è un caso sia un pezzo di Sufjan Stevens noto per i suoi progetti escatologici a lung adurata. L’orda degli indie viventi potrebbe farsi abbacinare dalla scelta interessante di Eric, ma in mezzo ad una playlist ineccepibile, come non notare la sua versione di uno splendido classico di Pat Benatar?