Per il suo ultimo lavoro, lo scozzese Alasdair Roberts ha scelto di attingere dal mare pescoso della tradizione folk celtica e, in generale, dalla storia del proprio paese per comporre brani inediti ma fedeli al passato nella forma e nella sostanza.
Lasciando ai molti Friends altrettanti strumenti a corda e a fiato, Roberts qui si occupa principalmente di chitarra acustica e voce – interpretazione suggestiva, la sua, non solo per il suo fortissimo accento scozzese, ma anche per l’esaltazione del suo amato sean-nós, che tradotto dal gaelico significa “vecchio stile”: uno stile canoro, appunto, proprio della musica folk irlandese, in cui la voce viene valorizzata dai suoi stessi gorgheggi e poco o nessun accompagnamento strumentale.
Ai Friends, dicevamo, Alasdair lascia tutti gli strumenti propri del genere, a fiato e a corda. Su tutti, Ben Reynolds accompagna la tradizione personalizzandola con una chitarra elettrica dalle note blues – e la cosa non ci stupisce, perché Reynolds, già Ashtray Navigations insieme al predominante Phil Todd, è uno che di sperimentazione musicale ne sa qualcosina.
Lo stesso Alasdair, che ora si erge a gorgheggiatore tradizionalista, anni fa si dava al lo-fi insieme a Will Oldham e al compianto Jason Molina (gli Amalgamated Sons Of Rest).
Di base, A Wonder Working Stone non ha niente di nuovo. Tuttavia, con le sue venature rock/blues questo disco offre spunti di discussione interessanti su come riportare in vita un genere morto come la musica tradizionale celtica. Operazione non dissimile da quella che a loro modo fecero Bob Dylan e Johnny Cash con la tradizione americana. Operazione certamente non meno accorata e profonda di quelle due; non soltanto perché la “pietra miracolosa” a cui Alasdair fa riferimento è l’amore, ma soprattutto perché – lo si nota anche dai piccoli particolari esplicativi che Alasdair pone come nota in fondo al testo di ogni canzone – queste canzoni inneggiano alla vita in quanto mortalità e ironia.