Alessi’s Ark (al secolo Alessi Laurent-Marke) è riuscita nell’intento di concepire un album sbalorditivo alla veneranda età di soli diciassette anni: Notes From The Treehouse, questo il titolo del disco uscito per la famosa major Virgin Records, aveva sorpreso un po’ tutti, lasciando però insoddisfatta colei che avrebbe dovuto giovare di tali riconoscimenti. Alessi’s Ark è diventata una donna nel giro di un album, nel momento in cui ha deciso di recedere dal contratto con la grande casa discografica, per sperimentare un genere a lei più congeniale, piuttosto che farsi cucire addosso l’abito non più gradito di artista impegnata (a tutti i costi). Scelta vincente quella della giovane cantautrice britannica. Da quel momento in poi si sono susseguite varie apparizioni live, come supporter di artisti più o meno importanti (Laura Marling, Mumford and Sons e Bright Eyes), alternate all’uscita di diversi EP per la nuova label indipendente Bella Union (Fleet Foxes e Beach House per citarne alcuni). Cominciamo col dire che in questo disco mancano pezzi à la Constellations, come ci aveva abituati con i precedenti lavori, immediati e allo stesso tempo maturi, in maniera inusuale per una ragazza della sua età. In Time Travel questa maturità non è più un abito cucito addosso approssimativamente, difatti, Alessi’s Ark, libera da ogni pressione, mostra se stessa ed il suo mondo con le sue carte vincenti e le sue debolezze. Kind Of Man e Wire, le due tracce che aprono il disco, sono due mondi nudi che non hanno bisogno di sovrastrutture per dimostrare la propria adulta complessità. L’emancipazione di Alessi’s Ark risiede proprio nel volersi riprendere quella crescita graduale che le spetta, quell’equilibro instabile comune a qualsiasi artista della sua età, l’istinto puerile che le permette di passare da pezzi smaliziati come la scanzonata Maybe I Know, ad episodi più definiti quali The Fever (perché Joanna Newsom piace pure a noi) o all’atteggiamento “female rock” dell’epica Must’ve Grown, il cui titolo è tutto un programma. On The Plain sembra venuta fuori dal cilindro del migliore Fran Healy (con i migliori Travis): uno dei pezzi più coinvolgenti di questo “viaggio nel tempo” del cantautorato (britannico). Come si potrà capire, l’album è ricco di perle, però non possiamo esimerci dal mettere in evidenza quella che è una fastidiosa pecca: il lavoro, nel complesso, è saturo di tentativi paradossali di sopperire ad una certa vaghezza con esercizi di voce simili a quelli di altre artiste alternative: a tratti ci sembra di assistere ad uno scontro frontale tra Emiliana Torrini (The Robot sembra un outtake da Me And Armini) e Laura Marling; non che ci dispiaccia, ma Alessi’s Ark ha le carte in regola per proporre un suo repertorio del tutto personale, quindi, perché emulare i vezzi vocali delle sue colleghe? Detto ciò, qui c’è del talento, la title-track lo dimostra senza il bisogno di arrangiamenti barocchi o l’impiego di strumenti ad arco nella loro accezione più concitata; la stesso vale per l’ebbra The Bird Song (dove ritorna prominente la stima per Joanna Newsom). Time Travel è un ottimo (nuovo) inizio, che tale deve restare, poiché crea grandi aspettative per il futuro di questa giovane artista e ci fa quindi sperare che lei possa in qualche modo abbandonare qualsiasi manierismo (che sia intenzionale o accidentale) presente in questo (autentico) debutto. Attendiamo presto un tour da headliner lontano da altre fonti di ispirazione, affinché questa piccola donna possa crescere con naturalezza, lasciando che il suo estro venga fuori senza più fare il verso ad artisti ai quali non ha niente da invidiare.