Folk rock di matrice tipicamente anglosassone, suonato da una band italiana, di Modena per la precisione. Arnaut (titolo ispirato alla figura di Arnaut Daniel, poeta francese di lingua occitana dell’epoca medioevale citato anche dal nostro Dante) nuovo disco degli Angus Mc Og di Antonio Tavoni, si abbevera alle fonti classiche del rock suonato con le acustiche, ma al tempo stesso possiede il pregio di essere moderno.
Dopo l’esordio di due anni fa (Anourak) il gruppo è andato in tour in Europa e negli Stati Uniti, prendendosi il giusto tempo per maturare. Le nuove canzoni sono ambiziose nel voler richiamare suggestioni tipiche di bands d’oltreoceano, nel cercare di creare, attraverso partiture ed intrecci strumentali come detto essenzialmente acustici (anche se non mancano momenti di esplosione piuttosto efficaci) delle atmosfere facilmente ritrovabili nelle composizioni dei vari Decemberists, Iron & Wine, Damien Rice e, per chi se li ricorda, Turin Brakes.
È tutto ben suonato, ben registrato, ben interpretato. La sensazione che lascia però l’ascolto dell’opera è quella di una band che spesso si concede troppo alla maniera nel tentativo, forse, di sopperire ad una vena compositiva che a tratti risulta essere poco ispirata. Quando l’emotività riesce a toccare le corde giuste (Wasted, Jonah) il brivido sulla schiena te lo fanno pure venire, ma in generale Arnaut è un disco che non scuote, che non lascia il segno. Ed è un peccato, perché c’è una chiara idea di suono, c’è la sapienza e la capacità di lavorare sulle dinamiche e sulle pause, ma tutto questo è inutile se poi non si poggia su un songwriting sufficientemente solido ed efficace. Stilisticamente e formalmente ineccepibili, con dotazioni di strumenti anche raffinati (organo, harmonium, tromba e sax) gli Angus Mc Og non riescono ad andare oltre al compitino ben eseguito. Peccato, perché le premesse c’erano tutte.