lunedì, Dicembre 23, 2024

Ariana Delawari, l’intervista esclusiva

Ariana Delawari, sito ufficiale
Ariana Delawari, myspace
Il teaser trailer di Lion of Panjshir, diretto da David Lynch

Le fotografie dell’articolo sono di Lauren Dukoff

Puoi raccontare ai lettori di indie-eye gli inizi della tua carriera musicale e come sei arrivata alla registrazione di “Lion of Panjshir”, il tuo primo album?

Ho cominciato a suonare la chitarra quando avevo tredici anni. La musica è sempre stata la mia passione più intima; a scuola ho studiato cinema e letteratura. Dopo gli studi mi sono maggiormente concentrata sulla mia carriera di attrice e sono tornata dai miei genitori in Afghanistan; loro si erano trasferiti a Kabul dopo I fatti dell’11 settembre per essere d’aiuto nella ricostruzione del paese. I miei genitori si sono incontrati in Afghanistan negli anni 60; mio padre è Afghano, anche mia madre ma per metà ha origini Siciliane ed è cresciuta nel New Jersey. In quel periodo mentre documentavo I miei viaggi filmandoli e scattando fotografie, scrivevo musica in modo assolutamente personale, con la paura di condividerla perchè la percepivo troppo vicina al mio animo, troppo intima. Ho incontrato il mio amico Max Guirand nell’aprile del 2006 e abbiamo cominciato a suonare insieme. Alcune delle canzoni che sono state prodotte da questo incontro avevano una struttura folk con venature psichedeliche, altre erano più vicine ai viaggi fatti lungo l’Afghanistan. David Lynch ha assistito al nostro primo live nel dicembre del 2006 e pochi mesi dopo decisi di registrare l’album in Afghanistan dopo una telefonata di mia madre; dal tono della sua voce capivo che la situazione nel paese stava peggiorando e uno dei miei sogni è sempre stato quello di collaborare insieme ai musicisti della tradizione Afghana; in un certo senso vedevo questa opportunità affievolirsi, per questo ho deciso che avrei dovuto registrare la mia musica in Afhganistan. Tre mesi più tardi eravamo su un aereo diretto a Kabul. Mi chiedo se non sia davvero quest’album che abbia dato inizio alla mia carriera musicale, in un certo senso ho sentito di doverlo fare, una chiamata che ha coinvolto tutta la mia vita, non c’era altra alternativa nel mio animo.

Lion of Panjshir” è un progetto affascinante e complesso; in esso sembra che la tradizione della tua terra cerchi e trovi alcune risonanze nelle strutture popolari occidentali; pop, psichedelia, influenze Californiane; come si è plasmata questa trasformazione da un mondo all’altro?

“Lion of Panjshir” era inizialmente il nome della mia band. E’ il soprannome di Ahmad Shah Massoud, leader della rivoluzione Afghana, ucciso da Al Queda due giorni prima del 9/11. Le intenzioni di Al Queda erano quelle di indebolire l’Afghanistan. Massoud era un uomo incredibile; ricordo quando ho visitato per la prima volta la sua tomba nel Panjshir; la tomba è collocata in una collina all’interno della valle e tutt’intorno scorre l’acqua del fiume e si vodono montagne imponenti. “Panjshir” significa “cinque leoni”; Massoud era nato nella valle per questo era conosciuto con il nome di “Leone del Panjshir”. In un certo senso ho voluto creare un progetto che fosse legato al suo spirito; I miei antenati erano del Panjshir, per me è stato assolutamente naturale seguire questo percorso. Nella fase di realizzazione dell’album il mio approccio si è trasformato in quello di un’artista solista, ho deciso quindi di andare avanti con il mio nome e di chiamare l’album “Lion of Panjshir”. All’inizio del progetto, io e Max lavoravamo su strutture psichedeliche abbastanza selvagge; la versione demo di queste canzoni aveva la stessa struttura e lo stesso spirito, ma il suono che hanno adesso si è concretizzato solo quando siamo arrivati in Afghanistan per registrare. Con me ho portato I musicisti che mi accompagnano, ovvero Max Guirand e Paloma Udovic; Max suona la chitarra e Paloma il violino; avevo una tracklist di sedici canzoni o qualcosa del genere, con un ensamble di musicisti Afghani abbiamo lavorato solamente su otto e abbiamo passato alcuni giorni a provare prima di cominciare a registrare. Quando siamo tornati a Los Angeles ho chiesto a Christo Anastasio di co-produrre una parte dell’album, lui ha invitato Joachim Cooder e Robert Francis a suonare con noi alcune parti. Robert è un solista incredibile, nell’album ha suonato il basso, mentre Joachim suona la batteria, tutto il lavoro che ha fatto per il Buena Vista Social Club ci piaceva molto, è un batterista dal grande talento; in questo senso avevamo bisogno di un musicista che non coprisse con il suo drumming le canzoni Afghane; una volta registrate in questo modo c’era ancora qualcosa che mancava, ed è allora che ho deciso di coinvolgere il mio amico Carlos Nino. Carlos ha ascoltato le canzoni e ha ritenuto mancasse un tappeto d’archi, e cosi mi ha presentato Miguel Atwood Ferguson che li ha arrangiati per Her Legacy, Be Gone Taliban, e We Lived on a Whim. Carlos e Miguel sono intervenuti in un momento in cui ero abbastanza sfiduciata, e hanno portato tutto ad un nuovo livello; nel bel mezzo di tutto questo è arrivato David Lynch e ci ha detto “ Avrei dovuto produrlo il tuo album!” è così che gli ho fatto una controproposta; “cosa ne dici di produrre una sola canzone?!”; “è un ottima idea!”, ha risposto David, “trovane una buona per me”. Ecco che David ha prodotto “Suspend Me”. David ha poi mixato l’intero album, un risultato davvero incredibile; ha un orecchio e un talento straordinario per il suono; ha evidenziato aspetti molto importanti del materiale; gli ha dato un’aura del tutto particolare, rispettando e comprendendo in pieno quello che volevo dire. (continua nella pagina successiva…)

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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