giovedì, Novembre 7, 2024

Ariana Delawari, l’intervista esclusiva

Hai registrato la maggior parte di “Lion of Panjshir” a casa dei tuoi genitori, cosa è cambiato nel passaggio produttivo da Kabul a Los Angeles?

Le sfide sono state molte durante il processo di registrazione; tutta la fase di pre-produzione è stata una delle più faticose; telefonate, mail e contatti di vario tipo con mio padre, gli investitori in Afghanistan e Tolo Tv, la compagnia che ci ha permesso di utilizzare le attrezzature di registrazione; e oltre a questo tutti I rapporti con il consolato Afhgano a Los Angeles per ottenere I visti. Mio padre è stato fondamentale nella logistica; ha trovato lui I musicisti con I quali abbiamo suonato e quelli che usalmente suonano con me hanno dovuto convincere le loro famiglie per affrontare questo viaggio; tra l’altro due settimane prima di partire Max è diventato padre. Una volta a Kabul è successo di tutto; avevamo dei tempi molto precisi e stretti per utilizzare le attrezzature e abbiamo dovuto affrontare anche la mancanza totale e improvvisa di elettricità e il generatore che doveva salvarci morto anche lui d’improvviso! Risolta anche questa questione, c’era il problema di attutire il rumore della strada, abbiamo allora cominciato ad inchiodare ai muri la collezione di tappeti Afghani dei miei. A questo devi aggiungere il fatto che eravamo praticamente blindati ventiquattro ore al giorno, protetti da pareti, filo spinato e due guardie armate; tu immagina solo di registrare un disco in una situazione dove non puoi neanche fare un passo perchè la situazione dietro l’angolo è troppo pericolosa. E’ stato certamente intenso ma mi sentivo responsabile per l’incolumità dei miei amici, per questo ho lavorato in una condizione di stress abbastanza forte. Ero ovviamente preoccupata anche per gli anziani Ustad. Mio padre mi rassicurava dicendomi; “Ariana, vivono in Afhganistan, sono sopravvisuti in situazioni molto peggiori di questa session di registrazione!” Tra le molte difficoltà c’erano anche alcune barriere linguistiche, soprattutto con il nostro tecnico del suono, Coreano, gentilissimo, ma parlava solo la sua lingua madre; abbiamo dovuto trovare metodi molto inventivi per comunicare con lui! La cosa che alla fine conta è che persone di culture molto diverse tra loro si sono trovate nelle condizioni di comunicare insieme, soprattutto attraverso la musica. Finite le registrazioni siamo stati invitati a suonare la nostra musica in un accampamento dove viveva un gruppo di ex-commilitoni Francesi; è stato bello suonare per loro. In quei giorni ho anche contratto un’infezione batterica per aver mangiato dell’insalata, in Afhganistan l’acqua è a rischio di potabilità ed è importante stare lontani dalle verdure; sono stata ricoverata al mio ritorno a Los Angeles per una notte in corsia d’emergenza. Una volta fuori c’era da finalizzare l’album e la situazione di forte stress a Kabul ha fatto si che il nucleo originale della band si spezzasse, in questo senso mi sono trovata a finire l’album come solista; Max e Paloma hanno suonato nelle registrazioni ma per me erano più di un progetto. Ma sono comunque andata oltre e ho cominciato ad invitare musicisti come Robert, Joachim, Miguel per arricchire il risultato. Questo ha liberato nuove energie e il suono ha cominciato ad evolversi. Sfide ne abbiamo affrontate anche a Los Angeles certamente, ma non come quelle fronteggiate a Kabul. Certamente dover affrontare tutta quella tensione con I ragazzi della band mi ha stancata moltissimo. La registrazione di “Suspend Me” con David Lynch è arrivata poco dopo, ed è stata un’esperienza bellissima. Robert, Jochim e Paloma suonavano con me e David a un certo punto ci ha detto che avrebbe voluto pubblicare l’album per la sua etichetta; ero eccitatissima; insieme al suo ingegnere del suono, Dean Hurley ha preso tutto quello che avevamo registrato, tutto il nostro viaggio, e ne ha estratto tutta la bellezza. (continua nella pagina successiva…)

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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