“Still Night, Still Light” è il nuovo album delle Au Revoir Simone, un’importante evoluzione nella loro musica, una dimostrazione di maturità. Le 3 giovani newyorkesi hanno risposto alle nostre domande su questo importante passaggio della loro carriera in occasione della data milanese del loro tour. L’intervista, realizzata da Fabio Pozzi con il supporto fotografico di Francesca Pontiggia, completa lo speciale dedicato alle Au Revoir Simone, di cui fa parte anche questo foto-set relativo ad un loro recente concerto.
Benvenute su Indie-Eye. Inizierei con qualche domanda sul vostro nuovo album, “Still Night, Still Light”. Penso che già il titolo faccia capire la direzione presa in questo lavoro: mi pare infatti che in questo disco vi siano momenti più “notturni” rispetto a “The Bird Of Music”, restando comunque all’interno delle melodie “luminose” che vi contraddistinguono. Cosa ne pensate?
Siamo d’accordo. Pensiamo che il suono delle tastiere e il drumming più minimale possano suscitare sensazioni di quel tipo, di oscurità, ma in generale le melodie non siano così scure. Abbiamo cercato atmosfere quasi fiabesche o che potessero far pensare alla luce dell’alba, del primo mattino, a momenti di calma e pace.
Anche i temi trattati nel testi di molti brani sono diversi, più introspettivi. È una giusta interpretazione? Inoltre ho la sensazione che il suono sia sì più scuro, ma anche più caldo ed analogico rispetto al disco precedente. È stata una scelta precisa, per adattarsi anche ai nuovi temi affrontati?
Sì, i temi sono più introspettivi. I testi e le musiche sono arrivate assieme, non c’è un legame consequenziale. Si può dire che ci sia venuto naturale accostare parole e melodie in quel modo.
La sensazione a volte è quella di trovarsi davanti a brani squisitamente e semplicemente folk nella scrittura, anche se poi resi con synth e drum machine, in un ottimo equilibrio tra tradizionale songwriting e ricerca melodica moderna. Siete d’accordo?
Noi approcciamo la scrittura delle canzoni in modo tradizionale, in effetti. Abbiamo cercato, con il lavoro di Thom Monahan, di fare un disco che possa essere definito di folk elettronico. La gente dice sempre che siamo una band elettronica, ma in realtà lo siamo solo tecnicamente, nel senso che suoniamo strumenti elettronici. Non siamo una band elettronica come viene intesa normalmente.
La scelta di Thom Monahan come produttore, che ha lavorato con grandi personaggi del folk degli ultimi anni come Devendra Banhart, Pernice Brothers o i Vetiver, è dovuta anche a questo legame col folk?
Sì, anche a quello. L’altra caratteristica che ce l’ha fatto scegliere è la sua enorme conoscenza delle tastiere. In quel campo è praticamente onnisciente, bastava che ci venisse un’idea su un particolare suono e lui trovava immediatamente la soluzione. E’ stato davvero prezioso il suo contributo per arrivare alla nostra meta che, come già detto, era un suono definibile come folk elettronico.
In un paio di brani ho notato anche un uso più “aggressivo” della drum machine, che si spinge su ritmiche quasi dance, come ad esempio in “Night Of Wands”. Da cosa derivano queste scelte sul ritmo?
In realtà è tutto nato sul momento, in studio. A volte capite di sperimentare con le drum machine e con le loro possibilità. Anche su questo le idee e la pazienza di Thom Monahan sono state basilari, passavamo giornate a “giocare” con i ritmi, e con “Night Of Wands” è andata esattamente così, anche se è un caso abbastanza isolato su questo album, dove abbiamo preferito un accompagnamento più minimale.
Un paio di anni fa avete partecipato al remix, fatto da Aeroplane, di un brano dei Friendly Fires, “Paris”. Avete in mente altre collaborazioni di questo genere?
Stiamo per registrare con Aeroplane, tra circa due settimane. Inoltre parteciperà al remix album che stiamo preparando per “Still Night, Still Light”. Crediamo che sia più interessante remixare i brani di questo disco, perché l’altro era più “predisposto” per quell’operazione. Questa volta il lavoro sarà più difficile, con i brani midtempo o comunque meno dance-oriented, ma sicuramente più stimolante. Oltre ad Aeroplane, tra gli altri, uno dei DJ coinvolti sarà Howie B.
Il vostro legame con il cinema è molto forte, fin dal nome scelto per la band, tratto da un dialogo di un film di Tim Burton. Finora avete partecipato alla colonna sonora di “Anna M.” di Michael Spinosa con la vostra canzone “Stay Golden”. Avete mai pensato di potervi occupare per intero di una colonna sonora? Se sì, con quali registi vorreste lavorare?
Ci abbiamo pensato eccome. Il sogno sarebbe lavorare con Sofia Coppola, oppure con Jean-Pierre Jeunet, anche se è impossibile rubare il posto a Yann Tiersen, che riesce sempre a creare fantastiche melodie, perfette per le immagini che accompagnano. In questo senso un altro grande è Mark Mothersbaugh, il suo lavoro su tastiere e melodie è anche fonte di ispirazione per la nostra musica.
Un regista con cui avete già lavorato, anche se accompagnandolo in un reading, è David Lynch. Cosa volete raccontarci di quella collaborazione? Com’è nata e come si è sviluppata?
Grazie alla nostra label David Lynch è entrato in contatto con noi e ha richiesto la nostra musica per il suo reading. Non sapevamo molto di cosa avremmo dovuto fare prima dell’evento stesso, non pensavamo nemmeno che l’avremmo incontrato o che avrebbe speso del tempo con noi. Invece ha assistito a tutto il nostro soundcheck, cosa che ci ha fatto emozionare quasi più dell’esibizione seguente. Quando è entrato nella stanza si potevano quasi sentire le vibrazioni che emanava solo con la sua presenza, è davvero un personaggio magico. E’ importante sottolineare anche il suo impegno per attività di sostegno alla pace, se ci fossero più persone come lui questo sarebbe davvero un mondo migliore.