Non sempre chi lo fa per primo lo fa meglio. Intendiamoci, i Beachwood Sparks sono una buona band di mestieranti, una di quelle da “seconda fascia”, come si suol dire. Dopo due album editi nei primi anni del Duemila il gruppo si scioglie senza suscitare particolari clamori. Nel frattempo, la proposta musicale attuata dagli Sparks – ovvero un misto di alt country e psych folk imbevuto di Sixties – viene definitivamente portata alla ribalta grazie al successo mondiale dei Fleet Foxes. Ecco perchè Chris Gunst, leader della band, avrà pure pensato “caspita, noi facevamo le stesse cose quasi dieci anni prima di loro”. E qui torniamo alla frase in apertura di recensione, ovvero: bisogna vedere come lo fai. Già, perchè si deve comunque constatare come la reunion che ha portato alla registrazione di questo The Tarnished Gold non abbia prodotto un album in grado di spostare gli equilibri nel genere in questione (che, va detto, è stato portato ad un livello di complessità decisamente superiore grazie al disco capolavoro dei Megafaun dell’anno scorso). Echi di Gram Parsons, dei Byrds, del Neil Young più bucolico uniti a wilsonismi un tantino annacquati, ecco quello che dovrete aspettarvi dalle 13 tracce che compongono l’album; che suonano pure carine, ma scivolano via leggere ed innocue come uno spritz analcolico.