Se affiancato a una giusta collaborazione, ogni grande artista può tirare fuori il meglio di sé, o quantomeno farlo suonare nella maniera giusta. Quale sia stato il ruolo dei The Roots per questo disco, non ci è dato saperlo. Sappiamo solo che Booker T Jones, grande organista da sempre affiancato ai The MG’s, icona del Memphis Soul, in questo suo secondo album da solista ha sfornato 11 tracce fuori dal comune. Ha dovuto tirare fuori letteralmente le radici per trovare la dimensione che gli si addice di più, quella soul e funky. Si confronti infatti il precedente Potato Hole, nel quale la collaborazione con i Drive-by Truckers ha sortito molto poco in termini qualitativi: troppa modernità, troppa potenza. Uno strumento robusto ma allo stesso tempo particolare come l’organo Hammond non può permettersi di primeggiare con chitarre distorte o atmosfere che sanno di country. Ed è qui che sta il senso della partnership con ?uestlove e compagni. Niente fila più liscio di questo disco: tutta l’energia viene convogliata nel groove, e Dio solo sa quanto quell’organo Hammond volesse quei ritmi sincopati e quei bassi corposissimi. Una traccia dietro l’altra si snocciolano themes che potrebbero durare in eterno, e spesso la mancanza della voce non fa altro che aiutare (Walking Papers, l’apripista, la dice lunga, come pure Rent Party). Funk e soul dicevo, ma equilibrati in dosi diverse: per estrazione storica della band, tutto vira verso il primo termine, e un paragone coi The Meters è estremamente calzante. Le tracce con contributi vocali, anche dello stesso Booker T, si legano al secondo termine, e sono spesso altrettanto soddisfacenti (Progress con Yim Yames). Una ventata di vecchio, questo è The Road From Memphis. Ma il bisogno si sente quando le cose vengono a mancare, ed è passato del tempo da quando quell’organo Hammond non infiammava all’ascolto, e per questo mi sento di dire: Bentornato Booker T.