venerdì, Novembre 22, 2024

Bowerbirds – The Clearing (Dead Oceans, 2012)

Il terzo disco dei Bowerbirds è ancora più che in passato un autentico affare di coppia. Philip Moore e Beth Tacular, rispettivamente responsabili di voce/chitarra, voce/fisarmonica, ma in realtà ambedue polistrumentisti, nel periodo che distanzia questo nuovo The Clearing dal predecessore Upper Air, hanno vissuto una dolorosa separazione di un anno, un’improvvisa malattia di Beth, la difficile sopravvivenza della loro band sullo sfondo dei loro personali dissapori e infine una gloriosa riconciliazione, culminata con la decisione di metter su casa nei boschi del North Carolina. Il disco, a detta loro, intende riflettere questo alternarsi di alti e bassi, di discese nell’oscurità e risalite nella meraviglia, tutta naturalistica, del loro ritrovato nido d’amore, la cui dimensione rurale ben si sposa con il raffinato free folk che marchia la loro musica. Registrato negli studi di Justin Vernon l’album vanta una strumentazione più sofisticata dei precedenti, arrangiamenti più nutriti e un generale raffinamento della sezione ritmica (quei secchi tamburi che cesellavano Hymns for a Dark Horse). La bella voce di Philip conduce come di consueto le danze, onnipresente e mielata tra un coro e l’altro, mentre a Beth vengono affidati due brani su undici, In The Yard, e Hush, la prima assieme a This Year ancora ottimo esempio di come le cantilene folky dei Bowebirds riescano a farsi energiche e coinvolgenti sull’onda di impreviste increspature elettriche. L’impeto in crescendo dell’incipitaria Tuck The Darkness In convince e anima l’ascoltatore di ottime aspettative, capace com’è di trasformare la malinconia di una semplice canzone folk in un peana propiziatorio, con l’aiuto di orchestrazioni ora celestiali, ora finanche dissonanti. Purtroppo tuffi simili faticano a ripetersi e vien da pizzicare il disco un brano alla volta, complice un andamento complessivo monocorde che si aggrappa a un mood pacificato in fuga dagli spettri del passato. Fatta eccezione per gli archi della splendida Walk The Furrows e le tirate pianistiche dell’impressionistica Death Wish, prima che vi rendiate conto che è passato il tramonto, Philip e Beth son già pronti a licenziarvi sotto il cielo stellato di dolci scampanellii di Now We Hurry On. Molto si perde per via di ceselli e levigature, ma c’è tutto un mondo cui attingere tra le pieghe di quest’album: they tucked the darkness in.

Giuseppe Zevolli
Giuseppe Zevolli
Nato a Bergamo, Giuseppe si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere di musica per Indie-Eye. Vive a Londra dove si divide tra giornalismo ed accademia.

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