lunedì, Novembre 25, 2024

Burzum – Fallen (Byelobog, 2011)

Cosa consiglieresti a chi voglia prepararsi al meglio per gli anni che verranno?

Mettete da parte una cospicua riserva di carburante, armi, munizioni, cibo in scatola. Ritirate tutti i vostri risparmi dalle banche. Procuratevi una vettura dalla meccanica solida (ad esempio, la Lada Niva). Votate solo per i cosiddetti partiti di estrema destra”.

Quindici anni di soggiorno nelle patrie galere non sono stati sufficienti perché Varg Vikernes (alias Count Grishnackh) imparasse le buone maniere. La reclusione forzata sembra anzi aver fornito al musicista norvegese il tempo necessario per perfezionare la sua controversa filosofia – un misto di paganesimo e radicalismo politico – conferendogli un certo prestigio all’interno dei circoli xenofobi europei. Dopo aver ordinato i suoi precetti nel libro-manifesto Vargsmål, Vikernes ha contribuito in maniera sostanziale a definire la linea di partito dell’organizzazione razzista Heaten Front. Ha saputo abilmente sfruttare l’immagine pubblica che il suo ruolo comportava, ritagliandosi ampio spazio all’interno di pubblicazioni musicali specifiche (la più nota delle quali è il volume Lords of Chaos, recentemente tradotto in Italia da Tsunami Edizioni) e apparendo persino sul grande schermo, indiscusso protagonista del documentario Untill The Light Takes Us. Non pago di tanta notorietà, ha pensato bene di concedersi anche un tentativo di evasione: quando nel 2003 gli fu accordato un breve permesso per buona condotta, si diede alla macchia e sparì dalla circolazione; alcuni giorni dopo venne ritrovato alla guida di un’auto rubata, mentre trasportava verso destinazione ignota un carico di armi ed esplosivi. Nel Maggio del 2009, dopo aver scontato due terzi dell’originaria condanna per omicidio, Vikernes ha riguadagnato la libertà. Considerato che il soggetto in questione non si è mai pentito dei crimini commessi, dimostrando in più occasioni un’indole indiscutibilmente sociopatica, ci sarebbe da chiedersi perché la Corte Suprema Norvegese si sia mostrata tanto garantista nei suoi confronti. Interrogativo legittimo, che tuttavia finirebbe per portarci del tutto fuori tema. Tornando all’ambito più consono a questa sede, limitiamoci ad osservare come la scarcerazione di Varg abbia permesso di riesumare la sigla Burzum, ponendo fine ad un silenzio discografico che durava dal 1999. Lo scorso anno Belus ha dimostrato che il nostro aveva ancora fiato in corpo per urlare al mondo i propri inni misantropici: abbandonate le tediose sonorità dark/ambient esplorate in carcere, il musicista ha rispolverato una brutalità degna degli esordi. L’opera si è rivelata una vera e propria mostruosità lo-fi, un’apocalisse sonora in cui ogni frequenza veniva fagocitata dal fragore delle chitarre elettriche. Fallen si muove in territori attigui al predecessore, inserendosi coerentemente nel percorso evolutivo seguito da Vikernes fin dai primi anni ’90: vive di composizioni riff-oriented estremamente dilatate (il brano più breve si assesta intorno ai 6 minuti), privilegia le trame ripetitive e rifugge ogni sorta di virtuosismo. Rispetto al passato, tuttavia, si fanno apprezzare alcune piccole ma sostanziali differenze. Nel complesso le cadenze sono meno frenetiche del solito (sarà forse l’età che avanza?) e il blast-beat viene quasi del tutto accantonato a favore di più moderati mid-tempo. Una maggiore attenzione verso la melodia favorisce l’emergere di componenti epiche: i riff in ¾ di Jeg faller, Valen, Enhver til sitt, conferiscono ai brani un incedere maestoso, conforme alle tematiche mitologiche tanto care a Varg. Il ricorso sempre più frequente alle voci “pulite”, ben integrate con il consueto screaming, sembra assolvere alla medesima funzione. Quel che maggiormente stupisce in tale contesto è la cura manifesta verso gli aspetti produttivi: sul suo sito ufficiale Vikernes si premura addirittura di elencare la strumentazione vintage utilizzata nel corso delle registrazioni. Curioso per un uomo che in precedenza aveva fatto della bassa fedeltà un motivo di vanto, la prova tangibile delle sue credenziali underground. In definitiva, l’opera si rivela ben più godibile di quanto il sottoscritto fosse disposto a credere in prima istanza. Tuttavia Fallen non aggiunge nulla di rilevante a quanto detto da Burzum in passato, né fornisce un contributo imprescindibile al Black Metal Norvegese. A pensarci bene, l’album ripercorrere un sentiero già battuto nel corso degli anni ’80 dai seminali Bathory, passati dal proto-Black degli esordi al Viking-Metal di Blood, Fire, Death. L’unico brano realmente degno di nota si rivela anche il più estraneo ai canoni del genere. Il Hel Og Tilbake Igjen compie quasi un’operazione filologica, riscoprendo modalità espressive tipiche della musica primitiva: ritmi atavici si sposano a corde pizzicate, evocando un’atmosfera di sinistra ritualità. La composizione è un piccolo capolavoro, molto più vicina alle radici pagane ossessivamente ricercate da Vikernes rispetto a qualunque canzone “rock”. Inevitabilmente ci si domanda se il Burzum di oggi brilli di luce propria, oppure capitalizzi sulla notorietà raggiunta da Vikernes nel tempo. Del resto, potremmo porci la medesima questione in relazione all’intera produzione Black Metal. La scena norvegese ha partorito alcune opere degne di menzione, tuttavia la sua fama sinistra è dovuta più al comportamento deviante degli attori coinvolti che ai loro reali meriti musicali. Un’estetica fatta di satanismo, atteggiamenti elitari, chiese date alle fiamme, suicidi, omicidi, indole razzista ed estremismo politico ha conferito con gli anni al genere un’aura fascinosamente perversa. Vikernes viene percepito dal pubblico come il supremo ideologo del Black Metal; di conseguenza, più di chiunque altro, è soggetto al rischio di venir giudicato per motivi che poco hanno a che fare con l’attività artistica. Nel suo caso è lecito affermare che sia impossibile separare il musicista dal personaggio. Di conseguenza, negarsi il piacere di speculare sulle dichiarazioni di Varg sottrarrebbe a Burzum il suo principale motivo di interesse. Il Vikernes-pensiero è respingente per qualunque individuo dotato di buon senso, nondimeno costituisce parte integrante del suo progetto musicale. Una filosofia che mescoli Tolkien, nazifascismo, paganesimo, suprematismo germanico e ambientalismo radicale può anche rivelarsi confusa sul piano teorico, ma non è meno efficace di riff aperti e urla laceranti per evocare l’alone di malvagità che contraddistingue il genere. Per quanto l’uomo possa risultare sgradevole, insomma, non possiamo negargli il merito di aver codificato uno dei modelli più influenti per il moderno Black Metal Norvegese. L’unica critica che mi sento di fare a Varg, in questo contesto, riguarda proprio l’incapacità di trasmettere la medesima intensità sul piano testuale. Liriche che si limitano a trattare il senso della vita, l’amore per foreste e spazi aperti, la gloria degli antichi Dei nordici, tutto sommato non rendono giustizia all’indole ribelle del personaggio. Molto più interessanti – a loro modo – sono le dichiarazioni a mezzo stampa rilasciate dal musicista. Se in occasione della sua prossima fatica decidesse di riciclarne qualcuna, Vikernes riuscirebbe a raggiungere un livello di estremismo verbale ben più alto. Invito il lettore ad immaginare quale sublime componimento si potrebbe ricavare dallo scambio di battute riportato di seguito:

Non pensi che facendo dei commenti sulle persone con gli occhi marroni tu stia alienando parecchi che altrimenti potrebbero sostenerti?

È vero, li sto alienando parecchio paragonando gli occhi marroni ad uno sguardo nel loro culo. È molto razzista. Guarda il cielo, è azzurro. Il mare è azzurro. I fiori sono azzurri e i miei occhi sono azzurri. Dietro i cieli ci sono le stelle, esse sono la saggezza eterna. L’oceano è un mare di saggezza. I miei occhi sono azzurri – tutto è negli occhi azzurri! Ma se guardo negli occhi marroni è come se guardassi su per il culo: il marrone è come la merda. Ovviamente questo lascia il segno!”.

 

Burzum sul web

 

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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