lunedì, Dicembre 23, 2024

Cesare Basile – Sette pietre per tenere il diavolo a bada (Urtovox Records, 2011)

Non pago di entusiasmanti sfide all’ultima biglia, Cesare Basile, che l’accento non l’ha perso mica pur vivendo, ormai in pianta stabile, a Milano, bussa alla mia porta (a tre anni di distanza da Storia di Caino), vibrando qualcosa in più delle sterili bordate dalla mediana che poco o nulla sono valse contro la massiccia difesa del Gabrielli e l’altrettanto solido attacco del Fiori. Fu lì che, durante una decembrale pausa semiseria al biliardino della Casa139, rigorosi stivali neri, sdrucita giacca di pelle e copiose basette, appresi che Sette pietre per tenere il diavolo a bada era già pronto e viveva abbondantemente oltre la metafisica compositiva del suo autore. Scontato quanto pleonastico aggiungere che preferissi di gran lunga, allora come adesso, un Basile con in mano gli strumenti piuttosto che le stecche del balilla, così come altrettanto scontata e pleonastica sia, per me, l’urgenza di questo disco, dopo averne apprezzato oltremodo i precedenti. C’è ancora la Sicilia in Basile.  Si sente. Si tocca. Si respira. C’è la Sicilia con tutte le sue contraddizioni ma anche con quella sua bellezza inusuale, carismatica. La bellezza di luoghi che ti rubano l’anima e la vendono al diavolo (per più di sette pietre). Se cedi è solo per non trattare con l’empio. Ma alla fine il pugno in pancia lo prendi comunque, tanto vale rassegnarsi e continuare a sperare che qualcosa accada.
Un disco che vive attraverso i suoi testi. Basile che recita Basile in un andirivieni di assunti che non ti rendono mica la giornata migliore. Come Sisifo egli continua a sfidare gli dei imprigionando Tanato con la coscienza che l’ineffabile sia solo una proiezione umana. Guerra, fede, amore, sono tutte proiezioni umane vinte dalla sedimentazione sociale. La lirica del cantautore esecra topoi “…con l’onore appeso ad un gancio di macelleria / una presa di granaio vale il tuo rispetto…”, oggettivizza maldicenze “…i baroni han scacciato le troie ed han comprato le case / e la roba concima la roba / mentre i morti si mangiano i morti”, rivive rapenti riti pagani “I vermi dentro ce li abbiamo tutti / e non ce ne accorgiamo”, dipinge la tela delle sue radici “…denti di lava fredda e nera / venuta a fiumi fino al mare”, senza minimamente porsi il problema di definirne i contrasti, alleggerirne le sfumature o regolarne la luminosità. Musicalmente non v’è nessuna cesura con il passato, nulla di tutto ciò che si sente in questo disco non è mai stato nelle corde del songwriter siciliano, neanche il crescendo mantrico di Strofe della guaritrice in cui si evocano spicchi di avanguardia a metà tra Grinderman (N.D.R. il loro album più recente, recensito da questa parte su indie-eye REC) e le smanie minimali di Hugo Race (N.D.R. il suo album più recente, recensito qui su indie-eye REC)  Ne le tammurriate acustiche di E alavòLa Sicilia havi un patruni (magari fosse uno solo, almeno sapremmo contro chi combattere!) o la filastrocca di Elon lar Ler concertata da John Bonnar e l’Orchestra della Radio Nazionale Macedone adombrano la profondità di versi come “correvo e le gambe si sono confuse / ho guardato quel cuore rotolare per strada”. L’artista catanese è così che vorrebbe essere perché è così che è sempre stato. Uno stuolo di talentuosi musicisti completa il quadretto, ognuno impegnato ad impreziosirne i contenuti, Vera di Lecce, Roberto Dell’Era, Rodrigo D’Erasmo, Roberto Angelini, Marcello Caudullo oltre Enrico Gabrielli ed Alessandro Fiori (questa volta anch’essi con gli strumenti in mano). Tagliuzzi, ricami e dai forma. Ciò che resta è il blues edonista rappreso ne Il Songo della vipera od il folk bugiardo (Lo scroccone di Cioran, Sette spade, L’impiccata, L’ordine del sorvegliante) secondo l’equazione in cui Banhart sta a San Paulo e New Orleans come Basile a crocicchio e monte Mitchell. Poi Lanegan, Cohen e l’imprescindibile Drake. D’altronde questo è Cesare Basile, eleganza emerita.

Francesco Cipriano
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Francesco Cipriano classe 1975, suona da molto tempo e scrive di musica.

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