Un tempo, quando si parlava di Cyndi Lauper, non mancava mai l’ombra incalzante di un’altra sua collega (di cui volentieri omettiamo il nome), alla quale la cantautrice americana è stata spesso paragonata durante la sua carriera, non per esaltarne i pregi, quanto per minimizzarne il talento, rilegandola al ruolo di clone, di “seconda arrivata”. In realtà, Cyndi Lauper ha fatto il suo ingresso sulle scene qualche anno prima della sua ben più fortunata collega (anche la “fortuna”, nel senso di “letteraria”, varia a seconda dei punti di vista). In troppi, ancora oggi, sono rimasti bloccati in quel 1983 che regalò l’epica Girls Just Want To Have Fun (concepita addirittura nel 1979), quasi una sorta di “muzak” rispetto ai singoli arrivati in seguito, come le storiche Time After Time e True Colors, di ben altro spessore musicale. In realtà, Cyndi Lauper ha confuso e poi sbalordito tutti: a partire dal 1997, anno di pubblicazione di At Last, si è guadagnata il tanto agognato titolo di icona gay, portando avanti un percorso artistico che non fosse basato sul solito sovvertimento di regole musicali, ma riprendendo in mano la tradizione e proponendo un sound da considerarsi “maturo”. To Memphis With Love, il nuovo disco dal vivo, dopo quasi 30 anni mette fine all’incessante paragone, e mentre la sua “collega fortunata” si appresta a pubblicare l’ennesimo album dance, la cantautrice di New York, celebra il suo amore per il Blues con questo disco dal vivo che sorprenderà soprattutto chi non la conosce a fondo. Qualche maligno avrà marcato il fatto che i bluesman sono altri, eppure nella voce di Cyndi non c’è solo una dose massiccia di credibilità ma una determinante sofferenza; non la stessa che i neri americani rigurgitavano nei periodi di massima sopraffazione, piuttosto una sofferenza figlia di una ghettizzazione, di un isolamento musicale che ha permesso alla Lauper di cambiare strada in possesso dell’equipaggio necessario. Ed ecco che la nostra rende omaggio a Tracy Nelson con una cover di Down So Low, tra il tecnicamente ineccepibile ed un rigurgito viscerale, quindi giustamente irregolare, sospeso tra afflizione e rabbia, che se non fosse tale stonerebbe sulle note di un’armonica a bocca. È doveroso ricordare come questo disco sia il lavoro di un percorso non certamente improvvisato; non solo è il continuum del precedente Memphis Blues, album che ha visto la partecipazione di pezzi da novanta (B.B. King, Charlie Musselwhite ed il giovane Jonny Lang, per citarne alcuni), ma un discorso musicale a tutto tondo, viste le sue numerose collaborazioni che vanno da i bluesman sopra citati a David Byrne e Fatboy Slim nel concept album Here Lies Love. Questa ennesima prova della Lauper ha una sua precisa valenza, non si tratta del ghiribizzo di un produttore o della necessità di decantare le proprie eccelse doti vocali ed il proprio gusto musicale (si ascolti She Bop che rinasce con quel dissoluto “tacky piano” da vecchio saloon). To Memphis With Love è innanzitutto una dichiarazione d’amore alla propria arte, quella di interprete, uno di quei pochi testamenti artistici capaci di spazzar via il più inutile dei paragoni con la signora Ciccone (pardon!), e nel quale in tanti cascano. Beh, in qualche modo ci siamo cascati anche noi.