Ci son voluti sette lunghi anni perché i Dirty Three, il power trio più atipicamente folk-rock della storia, tornassero con un nuovo capitolo della loro eclettica saga strumentale. Eclettismo è la parola chiave per ciascuno di loro, sparpagliati ormai in giro per il mondo (uno dei motivi di un “ritardo” così sostanzioso nella registrazione) e impegnati in progetti importanti, che hanno rimpolpato il loro prestigio e la loro influenza, seminando gemme in ogni dove. Mick Turner, come sempre pennello felice per i dipinti di copertina, è rimasto fedele alla sua Melbourne, dove oltre a consolidare la sua carriera da visual artist ha aperto uno studio di registrazione e avviato il progetto Tren Brothers con lo stesso Jim White. Di Jim ricorderemo la batteria incorporea per il progetto più ambizioso di Polly Harvey, White Chalk e le inquietudini stemperate a quattro mani con Nina Nastasia, ma anche le collaborazioni con Will Oldham e Cat Power (grande amica dei nostri e voce d’elezione per l’ufficiale debut cantato del loro ultimo Cinder). Warren Ellis. Che dire? Chiunque di voi abbia assistito a un concerto dei Grinderman nella loro seconda fase di ritorno alla giovinezza o alle ultime sbornie dei Bad Seeds di Dig, Lazarus, Dig! sa di cosa sia capace questo esserino, spesso paragonato a un folletto, ma capace di trasformarsi in una vera propria bestia sul palco, portando il violino a risignificare le sue tecniche e funzioni a servizio del punk-rock più fisico: rubare la scena a Nick Cave non è cosa facile, eppure a tutti voi sarà capitato di traslare lo sguardo dal centro alla destra del palco, dove un turbine di barba, archetto e corde spezzate rimbalzava inarrestabile tra terra e cielo. L’alchimia compositiva Cave-Ellis è nel frattempo diventata un sinonimo di colonna sonora tenue e suggestiva: The Assassination of Jesse James, The Road, The Proposition, (n.d.r raccolte nella release intitolata White Lunar) recentemente il docu West of Memphis. Nonostante tutto questo e molto altro, aspettarsi dai Dirty Three un vero e proprio cambio di rotta appare fuori luogo. Toward The Low Sun recupera il nocciolo della loro formula, rimescolando le carte fin troppo scoperte degli ultimi album (Cinder spiccava per accessibilità) e mettendo di nuovo in gioco intuizioni passate senza da una parte approdare alla maniera, dall’altra sfornare nulla di eclatante. L’apertura di Furnace Skies sembra una jam Grinderman votata allo sfogo collettivo, con la batteria martellante a tenere insieme una chitarra languida e il violino accennato di Ellis. Una sinergia magmatica che trova forse nel disco la sua unica controparte nell’esagitata epica tutta elettrica di That Was Was. Il compartimento nostalgico-romantico vince su tutto, prendete Moon On The Land, la cadenzata Rising Below o la splendida Ashen Snow, dove il mesto piano di Turner e la delicatezza delle corde di violino costruiscono una storia commuovente, di cui White tiene insieme le fila da lontano. Non saranno tornati a sconvolgere le acque, ma è un gran bene che gli elementi che hanno reso il loro esperimento così portentoso siano ancora tutti lì, che i nostri si siano ritrovati per sgranchirsi le ossa e ripartire nella corsa.
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Dirty Three in rete http://anchorandhope.com/dc/index.php/artists/dirty-three/
Recorded at Head Gap | Mixed at Sing Sing Studios | Violin, Keyboards Warren Ellis | Drums Jim White | Guitar, Keyboards Mick Turner | Produced by Dirty Three & Casey Rice | Mixed by Casey Rice | Artwork Mick Turner | Photography by Delphine Ciampi
Tracklist
Furnace Skies (4:44) | Sometimes I Forget You’ve Gone (3:49) | Moon On The Land (4:53) | Rising Below (5:48) | The Pier (4:53) | Rain Song (3:51) | That Was Was (4:02) | Ashen Snow (5:14) | You Greet Her Ghost (4:49) [/box]