Emma Tricca nasce in Italia ma del nostro paese porta solo il nome. Da subito emigrata nel Regno Unito si è radicata in quello che per lei è più una vocazione, dedicarsi al suo personalissimo folk country e recitarlo come se il tempo si fosse magicamente fermato a cavallo fra il sessanta e il settanta. Lo spaccato che ci offre s’intitola Minor White, e porta in sé tutta la dimensione del cantautorato tipico di Nashville. Una voce alta e graffiata con quel magico vibrato che ha da sempre caratterizzato le ugole di chi ha masticato il genere. Atmosfere dipanate come favole lasciate scorrere con rintocchi da carillion in Paris Rain, che afferra coraggiosamente l’intero registro di questo disco. Facilmente scorrono i volti che rispecchia questo lavoro, Joni Mitchell, Joan Baez o Dave Van Ronk, nomi che da sempre Emma ha figurato come i principali complici del suo avvicinamento a questa realtà. A tratti psych, Monday Morning, corre su binari già calcati nei giorni d’oggi, uno su tutti Devendra Banhart, risultando forse la meno personale del bagaglio di Tricca. Ma basta pazientare un attimo per tornare sulla rotta prefissata, una rotta che non risparmia nemmeno il sempre verde banjo che, magicamente, dona ad ogni pezzo una dimensione esatta e puntuale, basti assaggiare pochi secondi di Long Letter per credere. E’ la voce, la sua voce, il punto di forza di questi dieci capitoli, che arriva così docile e vibrante e maledettamente emozionale, lasciando i limiti che può presentare in originalità il folk country , in un angolino. Non semplicissimo quando si è confinati dentro certe sponde musicali, Tricca, a suo tempo, ha saputo proiettare il suo Minor White in avanti, decentrando il baricentro con sfumature personali e meno di richiamo, come in It doesen’t matter , dove ha mostrato un lato più contemporaneo e, se vogliamo pop, senza sfigurare affatto. Un brano che sembra uscire dal cilindro di Tori Amos per intenderci.L’Ending track, invece, recupera l’identità country e post- psych dell’ inizio, canalizzando emozioni con picchi vocali che lasciano col fiato sospeso, quel tanto che basta a far tremare lo stomaco. Ricorda molto, per melodia e forza vocale, Robert Plant. E ho detto tutto. Sicuramente una realtà consolidata questa di Emma Tricca, un sangue, il suo, che sa un po’ d’Italia ma che certamente trova la giusta consistenza in quel di Tennessee.