Essie Jain dal vivo riduce all’osso il suo songwriting, sostenuto solamente dalla presenza impalpabile della chitarra di Patrick Glynn; prima di attaccare Here We go si scusa e racconta il brano come un crescendo ricco di elementi che non potrà riprodurre, eppure l’essenza settecentesca e barocca della sua scrittura viene maggiormente fuori nella versione da camera; una voce capace di disegnare tracciati modali ricchi e allo stesso tempo soggetti all’ipnosi della ripetizione. Nella versione dal vivo, brani come The Rights abbandonano il peso degli arrangiamenti e si avvicinano al minimalismo ostinato di John Cale per perdersi in un canto popolare di derivazione arcaica. La bellissima Do It si sgancia da tutta l’elettricità stanca e malsana della versione da studio e si trasforma in un grido dal lirismo disperato; in alcuni passaggi si ha la sensazione che Essie possa fare a meno del piano e del buon Glynn, per affidarsi ad una voce magica, potente e colma di una gioiosa sofferenza. Splendida.