E’ al crepuscolo che i contorni delle cose si assottigliano, quasi rarefacendosi, dietro quel tratto indistinto, vago e confuso dei ricordi. Una porzione di esistenza che non vive secondo una realtà immanente ma reverbera quella effimera e creativa dell’immaginazione, sublimando un passato che, quando non evoca felicità e spensieratezza, può anche essere braccato da fantasmi, incubi, spettri che ingoiano. Ed è proprio questo livello sensoriale che rende la percezione degli eventi più intima e riflessiva, permettendole financo di ridisegnare una vita “altra”, almeno fino a che la fioca luce dell’aurora non ridarà forma al mondo circostante, così come agli occhi appare, in un loop che dura una vita intera.
In Spectral dusk, dei canadesi Evening Hymns, creatura allargata del singer/songwriter Jonas Bonnetta, è chiaro, sin dalle prime battute, questo tentativo di cesellare, con tipico mood confessionale da folkman navigato, gli spettri susseguenti alla recente scomparsa del proprio padre, le emozioni al chiaro-scuro intrise di uno stato d’animo inquieto. Una sorta di ponte comunicativo tra chi resta e chi se ne va, chi ancora ama e chi ha, purtroppo, già smesso di amare. Così, dopo una Intro strumentale, Arrows prova a splittare sadcore e folk in un distillato organizzato di armonia e pathos, in pieno livido Low, ballate potenti e aperture fascinose, direttrici anche dei precedenti Farewell to Harmony e Spirit Guides. Quasi come una sorta di specialità della casa, il fingerpicking Drake/Bright Eyes si affastella, poi, con ogni sorta di suggestione, in Family Tree, Cabin in The Burn, Asleep in the Pews; si esalta, soffice come Iron and Wine eprezioso come Tim Buckley, nei rassicuranti accordi delle ballate (Spirit In The Sky, Song to sleep to, Spectral Dusk), per poi divenire fuga, alibi e al contempo pretesto nella lunga strumentale Irving Lake Access Road, February 12th 2011 e nella downtempo americana Moon River. Magari non un capolavoro sempiterno, ma opportuno, ispirato e più che piacevole. Qualcosa che custodisce quella utilità/non utilità delle vecchie abitudini, delle quali potremmo anche farne a meno, ma non ci sentiremmo mai uguali a prima.