Smessi gli ingombranti panni di Ministro della Cultura, Gilberto Gil torna ad occuparsi di quel che gli è più consono, vale a dire scaldare gli animi degli ascoltatori. Nel riallacciare il rapporto con il pubblico sceglie la via del live, ma non si avvale né dell’appoggio di valenti turnisti né dell’armamentario percussivo che ha caratterizzato il sound afro-brasiliano di tante sue prove passate. Davanti alle platee gremite del Teatro do Bradesco di São Paulo Gil è nudo, accompagnato da sei corde di nylon e sostenuto esclusivamente dalla forza delle sue canzoni. La formula minimalista voce/chitarra ha da sempre caratterizzato il cantautorato classico, qualunque fosse la sua origine geografica: Brassens, Cohen, De Andrè e lo stesso Gil hanno cominciato tutti nello stesso modo. Ed in effetti questa è la dimensione in cui le composizioni riacquistano il proprio significato più profondo: spogliate di ogni orpello, vivono della pura bellezza delle melodie. In un paio di occasioni i figli Bem (chitarra classica) e José (basso, percussioni) danno una mano, e c’è spazio anche per un cammeo di Maria Rita che interpreta Amor Até O Fim, canzone scritta da Gil per la madre di lei, la compianta Elis Regina. Ma per il resto il palco è tutto del cantautore baiano, che a 68 anni suonati ha una voce ancora capace di emozionare e trascinare il pubblico in accorati sing along. La scaletta abbraccia 43 anni di carriera e spazia da episodi meditativi come Lamento Sertanejo e Superhomen – A Canção, alla classe poliglotta di O Rouxinol e La Renaissance Africane. Il tempo di rivisitare i classici Chiclete con Banana (Jackson do Pandeiro) e Saudade da Bahia (Dorival Caymmi), ed ecco che Gil ci travolge con il crescendo ritmico di Refavela, per poi abbandonarsi al tripudio finale di Espresso 2222. Apoteose emocional!