La discografia sterminata di Howe Gelb si può sfogliare come un album fotografico. Ci sono ritratti, primi piani, foto con amici, parenti e collaboratori e qualche documento di viaggio. Alegrías nasce proprio da un recente viaggio in Andalusia, a Cordova, dove Gelb si reca spesso e volentieri dal 2003 e dove per l’occasione si è circondato da un’affiatata cricca di prodigiosi maestri della chitarra e del flamenco, in primis il virtuoso Raimundo Amador (lo stesso che ammaliò Björk, con la quale incise la meravigliosa b-side So Broken), oltre a Lin Cortés, Juan Panki Añil, Ramos, e Inma, Ángela, Rocío e Prin’ La Lá ai cori, tutti raccolti nella calorosa dicitura “A Band of Gyspies”.
Il disco, mixato dalle abili mani di nientemeno che John Parish, prosegue la linea esplorativa dell’incantevole ‘Sno Angel Like You, del 2006, nel quale il sound distintivo di Gelb si offriva all’inusuale collaborazione con il coro gospel di Ottawa Voices of Praise: anche qui il risultato è prossimo a un’ibridazione tra panorami distanti, anche solo geograficamente, che ben si intrecciano facendo risaltare le doti di scrittura di Gelb in modo, se non del tutto imprevedibile, quantomeno interessante. Più che un’operazione studiata, Alegrías sembra la registrazione di un’inarrestabile session tra amici, come lo stesso Gelb ha dichiarato in occasione della prima uscita (inizialmente solo sull’etichetta spagnola Eureka), descrivendo entusiasticamente il processo creativo del disco, registrato per l’appunto in un home studio a Cordoba in una manciata di giorni, in un clima di fervida collaborazione.
Gelb non conosce lo spagnolo, eccetto le parole apprese dai viaggi al confine Tex-Mex, e sono da subito gli strumenti a fare da collante per il gruppo: i “Gypsies” si raccolgono attorno al suo pianoforte, con la stessa ammirazione con cui Howe segue le loro prodezze alla chitarra. I vecchi pezzi rivisitati non possono che uscirne impreziositi, in particolare Uneven Light of Day, un vero tripudio di chitarre e cori, concitato e travolgente, per il quale l’amica Maria Mochnacz ha diretto un videoclip che butta un occhio sull’atmosfera di concepimento del disco e Blood Orange, in cui le voci femminili accompagnano Gelb e il suo piano per raccontare un’estatica storia d’amore (“Kissing each other like it’s our last meal/we’ll be touching like the blind relying only on the feel”). Altrove, come in Saint Conformity, emerge in tutto e per tutto il blues a tinte noir del classico Gelb, mentre Notoriety perde la veste essenziale da demo di poco più di un minuto del 2007 e ne assume una più ricca, grazie alla componente corale e alla meravigliosa outro di chitarre flamenche.
Quattro i pezzi nuovi scritti per l’occasione, tra i quali spicca The Ballad of Lole y Manuel, cantata in spagnolo e imperniata su un cori gitani sinergici, che evocano atmosfere tipiche di festa, proseguite dalla successiva Cowboy Boots on Cobble Stone, in cui svetta il virtuosismo di Amador, con i classici urli di incitamento della tradizione musicale andalusa. Alegrías non corre il rischio di calare il flamenco in un songwriting ad esso alieno, snaturandone le strutture e risultando artificiale: le radici alt-country e “Arizona rock” dei Giant Sand e dei lavori solisti di Gelb sono sempre presenti e accolgono le sonorità locali al meglio, lasciando trasparire la naturalezza dell’esperimento e il calore della sua gestazione.