Quando il marchio fa la differenza: dici Sub Pop e qualsiasi cosa ti rifilino puoi star certo che sarà americano in a peculiar way e di buona qualità. Gli Husky, così denominati dal frontman Husky Gawenda, seguono questi due principi, il primo soprattutto in modo eccelso. Questo quartetto di sbarbatelli sa il fatto proprio su come torcere folk, country, indie pop in un canestro pieno di piccoli segreti, gioie che stanno nelle gocce di rugiada, timidezze che si tramutano in melodie. Timidezze, dicevo, che servono per introdursi al pubblico: Tidal Wave e Fake Moustache sono cantilene quasi sciocche, ma preparano alla discesa vorticosa nei boschi fatati di The Woods, alle ondate prodigiose sui vascelli di Dark Sea, al ritorno a casa della traccia eponima. Il talento non manca, soprattutto l’uso di varie forma-canzone (confrontate Hundred Dollar Suit con una qualsiasi delle tracce già nominate), la presenza di strumenti spesso condannati a essere chiamati in causa con i turnisti ma non in questo caso, come tastiere varie suonate da Gideon Preiss e il banjo dello stesso Gawenda, che virano le atmosfere verso i diversi lati della tradizione musicale americana. Difetti? Se dire che sembrano dei buoni emuli dei Wilco può essere un difetto.. Anche considerando che qui alcune prove sembrano proprio di maniera, scartate dalla sorte da Yankee Foxtrot Hotel o da Wilco, visto che Husky oltretutto sussurra sulle stesse tonalità di Jeff Tweedy. Del tipo che se passassero Tidal Wave alla radio molti potrebbero pensare a cosa ha portato la band di Chicago a virare verso rotte malinconiche e lisergiche. Concorrenza sleale? Giudicate voi.