Se c’è un aggettivo che può definire il nuovo lavoro di Marco Iacampo è “essenziale”, nell’accezione più positiva. Alla seconda prova con il suo nome anagrafico, messi da parte i progetti Goodmorningboy ed Elle, il musicista veneziano compie infatti un’operazione di spoglio del linguaggio che è merce abbastanza rara nel cantautorato italiano contemporaneo, che negli ultimi anni ha badato forse ad altro piuttosto che a “saper scrivere” canzoni.
Iacampo ragiona compiendo un salto all’indietro di quaranta e passa anni: si concentra in maniera assoluta sulla forma e sulla melodia, lasciando a sostegno strumentale quasi esclusivamente la sua chitarra (classica, per giunta).
Non punta ad essere cantastorie né ad inseguire tematiche del momento e men che meno intende inseguire sensazionalismi, risultando, anzi, già quasi “classico” ma giammai “invecchiato” o “già sentito”.
In un ventaglio che può benissimo comprendere tanto Sergio Endrigo come Damien Rice (Soltanto io, solamente noi, una coperta calda d’ottimismo che riscopre la funzionalità melodica dell’arpeggio), il Nick Drake meno depresso come un Marco Parente meno schizofrenico (l’incipit di Mondonuovo, la somiglianza vocale fra i due è abbastanza impressionante), Iacampo narra di amore, giovinezza e piccoli ideali (Non è la California) con il romanticismo e la ragione di un lucido sognatore, sfrondando i testi da qualsiasi tentazione retorica, in linea con una semplicità armonica e un gusto melodico fuori dal comune: si veda come un brano che sembra scritto su un fazzoletto come Tanti no e un solo sì possieda la grazia del gioiellino.
Nella giustapposizione di pochi ma indovinati elementi timbrici (gli ottimi violoncelli di Enrico Milani, le sfumate tastiere e le poche percussioni, soffuse, dell’ex Elle Nicola Mestriner – oltre ad altri, fidati, collaboratori), il disco dà il meglio nella prima parte ma tocca una straordinaria vetta emotiva con il colpo di coda di Amore addormentato, una delle più belle canzoni italiane dell’anno appena concluso.
Un lavoro dall’ottima cura sonora e dalle intenzioni sincere ed emozionanti, lontano dall’effimero del quadro bozzettistico e dal viziaccio dell’autoattribuzione di “autorialità”.