Nata nella California del Nord, in una famiglia di mormoni, Jesca Hoop è cresciuta – musicalmente, ma non solo – con la tradizione folk. Dopo l’abbandono della casa paterna, ha sperimentato la vita nelle aree più selvagge della regione natia e del Wyoming (la famosa wilderness); per poi giungere nelle montagne dell’Arizona, dove ha lavorato a un programma di riabilitazione destinato ai bambini. Queste note biografiche sono utili per carpire le tracce di America affioranti in The House That Jack Built, policroma raccolta di canzoni e terzo full-length per la cantautrice statunitense nell’arco di otto anni di attività. L’incontro con la musica dei Padri l’ha segnata nei nervi e nell’anima – il titolo dell’album è ispirato a This Is the House That Jack Built, famosa nursery rhyme molto ricorrente nella storia e nella cultura popolare anglosassoni – senza però impedirle di destreggiarsi in un’ampia gamma di registri vocali e musicali: Born To, ad esempio, ha un sapore New Wave, mentre Pack Animal è una versione meno austera delle filastrocche di Lisa Germano. La Title-track e D.N.R. narrano di cuori spezzati, (ultime?) gite a Tulsa e ampie solitudini che scrutano il cielo in cerca di consolazioni; sulla stessa linea troviamo Dig This Record, che flirta col blues, la solenne Deeper Devastation, addensata da nugoli di polvere, l’obliqua e orientaleggiante When I’m Asleep. Il connubio tra sonorità etniche ed elettronica di Peacemaker, invece, mostra come l’aver collaborato, come corista, con Peter Gabriel ha lasciato qualche segno. Ma non finisce qui. Jesca è anche smaliziata entertainer in Hospital (Win Your Love) e Ode To Bansky, non prive di tocchi originali ed orecchiabili come gli eighties di Cindy Lauper. Il limite più grande del disco risiede proprio nell’eccessiva eterogeneità stilistica – al disco hanno lavorato ben tre produttori diversi e forse non è un caso – fra aperture al pop, cantautorato indie, ricerca delle radici. Jesca ci sa fare, possiede voce e sentimenti, ma forse dovrebbe gestire più razionalmente il proprio furore creativo.