Dopo due anni di sperimentazioni in studio esce per l’etichetta di Manchester Red Deer Club l’atteso debutto di Jess Bryant, polistrumentista e cantautrice di Londra già nota ai lettori di Indie-Eye dal lontano 2006. Nel 2009 non ci era sfuggito l’EP Dusk e ora Silvern arriva a confermarci la statura dell’artista. La matrice folk della musica di Bryant è messa a servizio di plurime contaminazioni, su tutte la musica classica e il cinema. Molte sono anche le suggestioni letterarie, Paul Auster e Haruki Murakami tra gli autori dichiarati. Jess definisce efficacemente il suo operato “dark cinematic folk”, ma, occorre dirlo, non c’è nulla di strettamente derivativo in queste nove tracce magistralmente confezionate: nel panorama attuale Jess ha ricavato per sé una piccola nicchia, un misto di sontuosità e inquietudine che hanno sì del dark e del cinematic, ma che, grazie ai ricchi arrangiamenti e allo splendido lavoro sulla voce, si guadagnano un’attenzione tutta particolare. Se c’è un accostamento, tanto facile quanto indubitabile, su cui vale la pena soffermarsi è quello con Shara Worden, per cui Jess ha suonato in apertura di due concerti londinesi nel 2008 e nel 2011 e che ha già avuto modo di pronunciarsi con lodi sperticate a favore della collega. Le visioni spettrali di Jess, un mondo fatto di oracoli, fantasmi e premonizioni, attingono sì al soprannaturale, ma con pacatezza e una matura serenità: un dark folk più baldanzoso che cimiteriale, in cui la voce della narratrice non finisce mai per perdersi, ma che anzi riesce a dominare abilmente con la purezza delle sue armonie o nel ricorrente humming di sottofondo (Oracle Night, l’accessibile The Glance). I frequenti sbalzi vocali mantengono sempre una notevole eleganza, restituendo al suo folk grande profondità, senza ricorrere agli espedienti impiegati dalla scuola weird. A lamentarsi sono semmai le chitarre dell’ultimo minuto di Quiet Beauty, o gli imprevedibili tamburi che vengono a scompigliare la dolcissima trama di Stone Lady. Gli arrangiamenti d’archi, scritti a quattro mani con Daniel Lea ed ispirati tra gli altri ai lavori di Steve Reich, imperversano su tutto il disco, irrobustiti da un largo impiego di fiati e frammentati da un uso coraggioso e costante delle percussioni. I ritmi stratificati del batterista Paul Cook si ispirano a Moondog e ora passeggiano in notturna nella meravigliosa Oracle Night, ora soccombono al vibrafono, altro ospite fisso del disco, specie nell’accattivante singolo di apertura Cutting o nella splendida Molten, in cui si aggiunge con garbo a un piano appena percepibile, agli archi e ai cori, ricreando suggestioni che nulla hanno da invidiare alla sensualità di Vespertine. Silvern, che ci congeda con la scarna Gravity & Grace, è un piccolo capolavoro di robusto songwriting, di gusto ed equilibrio formale. Vi piacerà contemplarlo e tornare a consumarne i dettagli. Nota per gli amanti del vinile: il 12” sarà disponibile in sole 300 copie.
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Jess Bryant – Silvern
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Recorded at Golden Hum | Produced by Daniel Lea | Music & Words by Jess Bryant | Photography by Emily Dennison
Tracklist
Cutting | Quiet Beauty | In Deepest Blue | Oracle Night | Stone Lady | Molten | The Glance | The Sea Is Asking | Gravity & Grace [/box]