Come ci aveva anticipato lo scorso Febbraio con questa intervista pubblicata su indie-eye.it, Laura Veirs torna con una collezione di canzoni folk per bambini. La nascita di Tennessee, iniziato alle gioie del tour ancor dentro il pancione, ha ispirato a Laura e al marito (e produttore) Tucker Martine una lunga ricerca negli archivi fisici e mentali della vecchia canzone popolare, in alcuni casi ben nota, in altri presa in prestito dal dimenticatoio. Non siate scettici: non troverete ninnananne e filastrocche appannaggio esclusivo di supermamme e supernonne, e non rischierete di essere stroncati dal sonno come a tratti accadde ascoltando l’album per bambini dello scorso anno della buona Essie Jain (ndr. until the light of morning). Tumble Bee è a tutti gli effetti un disco nello stile di Laura Veirs: lei stessa non fa mistero di quanto la sua musica sia sempre stata apprezzata da grandi e piccini, in bilico com’è tra atmosfere rilassanti e melodie ipercanticchiabili, tra testi da manuale di geologia e da “Il grande libro degli animali”. Ciò che colpisce di più in questo disco è l’effettiva passione e precisione con cui i brani del passato son stati recuperati e reinterpretati, la freschezza con cui approcciano l’ascoltatore nel loro insieme: è l’incanto scaturito ogni qualvolta un vecchio canone viene riattualizzato tra il rispetto dell’originale e la flessibilità ricercata dalla nuova generazione. Sufjan Stevens si è già espresso al riguardo: le più belle canzoni per bambini non invecchiano mai. Fonti primarie son state tra le altre Harry Belafonte e il suo Live in Canergie Hall, Neil Young, Woody Guthrie e in particolare la collezione del ‘57 Animal Folk Songs for Children di Peggy Seeger e la mastodontica antologia della canzone folk americana compilata da Harry Smith nel ’52. Vecchi e nuovi amici si sono radunati da Laura & Tucker per registrare il disco: tra gli altri Colin Meloy (The Decemberists), con cui Laura duetta nel classico country-western Soldier’s Joy, Basia Bulat, il batterista di Dylan Brian Blade, il virtuoso del banjo Béla Fleck e Jim James dei My Morning Jacket. Zio Karl Blau oltre a un piccolo interludio regala il pezzo che dà il nome al disco, da lui scritto in gioventù e qui riconfezionato ad hoc, evolvendo la malinconia solitaria della sua chitarra in un delicato intrecciarsi di piano, trombe, sussurri e ronzii. Se la morbidezza di All The Pretty Little Horses non convincerà chi già sottoponeva i propri pargoli a un ascolto prematuro della versione di Tibet e Cave, un paio di perle metteranno tutti d’accordo: il traditional Jack Can I Ride? per piano e volino, su cui la voce di Laura si staglia più limpida che mai e la work song Jump Down Spin Around di Belafonte, di cui si è mantenuta la distintiva esecuzione corale, velocizzata oltre lo scioglilingua, movimentata da saliscendi, dall’impeccabile batteria di Blade e dai colpi a terra del coro. Non pensavate mica di farvi spedire a letto così su due piedi!