God is my bike è l’album d’esordio della giovane artista e polistrumentista Maia Vidal, francese d’origine ma americana di nascita. Nota alle cronache già giovanissima come musicista punk rock, ha registrato a 22 anni, con lo pseudonimo Your Kid sister, un ep dal titolo Poison (five rancid song that i love), 5 rivisitazioni in chiave folk-pop del gruppo americano.
La musica può definirsi a tutti gli effetti “artigianale”: nella borsa degli attrezzi Maia ci mette, violini, chitarre, percussioni, fisarmoniche, trombe, pianoforti giocattolo, campane, campanellini e rumori di vita quotidiana. Gli strumenti sono quasi tutti suonati da lei stessa, fatta eccezione per i fiati e la batteria (a cura di Giulio gius Cobelli) e la chitarra (affidata al celebre Marc Ribot).
La forza di questo disco sta nei particolari. I dettagli sono curatissimi: i suoni delle campane all’inizio di La jaula dorada o le dita che schiocchano in Follow me creano atmosfere ariose e intime allo stesso tempo(e a tal proposito la traccia d’apertura The waltz of the tick tock of time è significativa). Il continuo alternarsi di stati d’animo diversi all’interno di God is my bike aggiunge dinamicità a un lavoro che correva il rischio di arenarsi su musiche già sentite .
L’uso degli strumenti è ben calibrato: la fisarmonica (The waltz of the tick tock of time e I’ll sail all night) porta la mente dritta alla Parigi di Amelie Poulan. La chitarra, suonata da quel genio di Ribot, restituisce le sensazioni sensuali e latineggianti del tango (Le tango de la femme abandonnée, cantanta curiosamente in francese). I violini si inseriscono con il timing giusto a spolverare le tracce God is my bike e Poetry di una giusta dose di malinconia, mentre le trombe danno fiato e aria a tutto il cd. Alcune tracce ricordano i Beirut (ad esempio I’ll sail all night), altre come detto il primo Yann Tiersen. Ma il lavoro è originale e vive di luce propria.
E’ difficile far convivere nello stesso disco cover dei rancid (It’s quite all right), valzer, tanghi e melodie folk. Maia ci riesce (ed è una peculiarità del cd) rivisitando in chiave pop musiche provenienti da un mondo vecchio, utilizzando come trait d’union la voce (che ricorda Regina Spektor al suo meglio), mai fuori posto e parte integrante della melodia. I testi si adattano perfettamente alle sonorità di God is my bike: raccontano momenti d’intimità, situazioni anche sofferte ma che non sconfinano mai nel tragico. Non c’è niente di irreparabile nel mondo sereno e tranquillo dell’artista franco-americana. I suoni contribuiscono a creare un’atmosfera che può essere definita domestica. Sembra di stare nella stanza di Maia, seduti a gambe crociate sul letto mentre la nostra amica suona sorridendo, una dopo l’altra, le canzoni dell’album. Tutti gli strumenti si alternano nei momenti giusti e portano il loro contributo, senza essere in alcun modo prevaricanti. Gli arrangiamenti precisi e puliti fanno poi il resto. Suoni soffici, colori caldi e melodie morbide. Nessuna ruvidezza o asperità. Non c’è spazio per disperazione o tragedia. God is my bike, vero gioiellino pop, non sbaglia un colpo. E, piccolo valore aggiunto, riesce a essere anche confortante, come un bacio sulla fronte .