Sarà un caso, sarà pensato, fatto sta che la combinazione tra il nome dell’etichetta Woland, e la prima traccia del nuovo lavoro di Marco Parente, Il Diavolaccio, riporta subito alla mente il romanzo di Bulgakov, Il Maestro e Margherita. Perciò se è vero che nel libro Woland, alias il diavolo, vuole costantemente il male e opera costantemente il bene, forse il Diavolaccio di cui ci racconta Parente, più che manipolare l’anima dell’uomo la redime anche attraverso la sofferenza. Il diavolo, nella tradizione, è una figura di deviazione; distoglie dalla retta via, distorce la realtà delle cose, inganna con false promesse, compromette l’anima. Ma il diavolo è anche colui che si oppone, il simbolo delle contraddizioni e, forse, la rappresentazione per sommi capi dell’essere umano, nei suoi dilemmi e tensioni. Chiuso questo innesto letterario, veniamo a La Riproduzione Dei Fiori undici stami di calibrata armonia in cui si congiungono per addizione i suoni di chitarra, archi e voce. Riprendendo l’omonimo spettacolo della stagione teatrale 2008-2009, apre il disco Il Diavolaccio, accoppiata vincente di chitarra e voce, giri armonici cadenzati e regolari che rendono la canzone un dolce ninna nanna. Al testo viene affidato il compito di descrivere il tema della tentazione e del rovesciamento delle logiche comuni del quieto e ben vivere. A seguire La Riproduzione Dei Fiori che contiene una sorta di principio epicureo scandito dal calembour “Fatti il bene e fotti il male/ Perché vivere bene ti fa bene”. Suoni cristallini quasi liquidi che incorniciano la breve ballata. Di cipiglio differente è C’era Una Stessa Volta, con la quale s’avvia il lato più rock e a tratti folk del disco; la batteria si fa imperiosa e trascina la traccia in cui si avverte l’impronta del Bob Dylan di Hurricane. Viene poi La Grande Vacanza, canzone cantata per primi secondi a cappella, poi in modalità acustica chiudendosi infine con un inatteso stile elettronico dai suoni distorti delle chitarre. Di sapore jazz è L’omino Patologico, seconda citazione – seppure indiretta – della demonologia presente nel disco; la voce di Parente si increspa sul finire per lasciare quindi spazio ad un inconfondibile coretto di “uh-uh” che strizza l’occhio a Simpathy For The Devil dei Rolling Stones. Si conclude con Dare e Avere quest’album dalla doppia anima, melodica e rock, che ben si sarebbe incisa sulla superficie rugosa di un vinile. A differenza dei due Neve Ridens, la cui rapida uscita rispondeva alla prolificazione musicale di Parente, La Riproduzione Dei Fiori è un album di contenimento, come fanno intuire sia minutaggio sia il numero dei brani, dove la selezione è stata dettata per prima cosa dalla qualità piuttosto che dalla quantità. L’album procede a zig zag, con continui colpi di coda, citazioni latenti, cambi di genere che si fondono senza compromettere l’originalità dell’insieme. Un lavoro ricco e impreziosito da uno stuolo di musicisti: Asso Stefana, che condivide le chitarre insieme allo stesso Marco Parente, Andrea Allulli al piano e alle tastiere, Andrea Angelucci al basso, Emanuele Maniscalco alla batteria, e dalla partecipazione per gli arrangiamenti di Robert Kirby (collaboratore di Nick Drake e Elvis Costello), scomparso prima della conclusione della produzione dell’album.
Marco Parente – La Riproduzione Dei Fiori
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Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.
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