Se non si parlasse di folk inglese, lignaggi importanti ed incestuose collaborazioni germinate laddove la Lyke Wake Walk incontra le coste del North Yorkshire, scarsamente un disco che dribbla la questione originalità, come un esordiente tra i fuoriclasse, riuscirebbe nell’intento di risultare piacevole. Ed invece, Hidden, secondo capitolo dell’ormai rodato duo (fratello-sorella) Waterson-Knight, distilla ancora undici godibilissimi brani, assolutamente rabbonenti per tutte le nostre arsure iconoclaste, complici la solita sobrietà degli arrangiamenti, una scrittura efficace ed un manierismo dotto, sebbene mai specioso.
Con mirabile pudore, infatti, certe amenità folkish (imprescindibile specialità della casa), vengono qui riproposte come se ci si accingesse a ripercorrere il tortuoso sentiero che da Elvis Costello porta dritto alle lusinghe radio friendly dei Morcheeba (I’m in a mood, Russian Dolls) con un appeal di cui anche mamma Lal andrebbe orgogliosa. Crediti neanche tanto velati, poi, al music hall inglese, tradotti in altrettanto pregevoli ed efficaci tentativi di rendere più fruibili e rigorosi certi capricci folk cabaret à la Harlequin Jones (Going Going Gone, Scarlet Starlet, Benign, Love song to a lyric) ed ancora il pregio di un pop rock tra Heather Nova e 10000 Maniacs (Starveling, Gormandizer, Professional confessionals).
Chitarre, violini, pianoforti, fiati, suonati per questa volta e non è poco, non è male.
Lei, Marry, convincente ed esaustiva, tra Aimee Mann e June Tabor, anche quando ridona abbondanza alle trame world music di I won’t hear o ancora duetta con la più diva e smaliziata cugina Eliza Carthy. Lui, Oliver, pacioccone tuttofare che, oltre a collezionare collaudati camei (zio Martin Carthy, tra gli altri) imbastisce un buon disco senza la pretesa di riletture sediziose, pago di saper comunque rendere l’idea in ogni episodio. Policromo, delicato, divertente, per ogni stagione.