venerdì, Novembre 15, 2024

Minotaur Shock – Orchard (Melodic, 2012)

Minotaur Shock, ovvero David Edwards  da Bristol, ha avuto fin’ora una carriera di tutto rispetto, stesa su quattro album, due per 4Ad, una manciata di EP e un’altra di remix (Super Furry Animals, Lucky Pierre, Bloc Party).

Orchard pare segnare una piccola svolta nella sua folktronica dance da camera, essendo il primo lavoro ad avere avuto una postproduzione in studio ed il primo in cui sono presenti strumenti acustici. Questi ultimi sembrano avere la meglio nell’economia del suono nel suo complesso, tanto da prevalere più volte sulla componente meramente sintetica. Così tra vibrafoni, fiati, pianoforti, batterie e chitarre acustiche, va dipanandosi un’aria tanto bucolica, quanto funkadelica, festosa ma dai toni oppiacei, progressive, in un processo che ha più di qualcosa in comune con Caribou.

Come sempre più spesso capita di riscontrare, i Neu (quella sigla da sola ha già tutto il potenziale dell’infinita riattualizzazione, evidentemente) continuano ad essere influenza fissa per musicisti di ogni genere e latitudine e ricompaiono, ancora una volta in forma di motorik, ed anche qui in apertura di disco, con Janet, per il resto un inseguirsi di viole, chitarre e vibrafoni su arpeggio sintetico. Ocean Well si potrebbe dire una sorta di jazz funk futuribile, Kevin Ayers attraverso Photek; così come Quint, dagli umori tropicalisti. Through The Pupils Of Goats vive di sospensioni clubbing su battuta in levare, mentre Too Big To Quit è un’inattesa giga kraut folk alla Brösel Machine.

Altrove l’originaria componente danzereccia riemerge più prepotentemente (Westonbirt, saltellante 2step in odore di Four Tet); mentre in chiusura il brano più imprendibile Adventure Orchard, cioè la sigla di un documentario naturalistico progressivamente condotta su uno swingare leggero da easy listening ’60, schiacciato poi tra rumori e suoni d’ambiente. Piacevolissimo, inventivo, lieve e non banale; una variazione sul tema elettro-acustico non originale (chi lo è?) ma molto interessante, a dispetto del nome orrendo che si è scelto, che rievoca più che altro immaginari hard-prog. Urge, a questo punto, per chi se li è lasciati sfuggire, un immediato recupero dei lavori precedenti.

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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