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My Brightest Diamond, la foto intervista – Milano, 2 Settembre 2011

Arriviamo in coda, alla fine di un press day milanese in cui Shara Worden, conoscenza di vecchia data di Indie-Eye, presenta alla stampa il nuovo album All Things Will Unwind (ndr: recensito da questa parte su indie-eye REC) , in uscita il prossimo mese. Non tradisce stanchezza: un rapido cambio d’abito ed ecco Shara-Wonder Woman, tanto sberluccicante quanto concentrata, decisa a rendere il set fotografico il più interessante possibile, perché dice: “We are making art here”. E allora eccola vagare per la stanza alla ricerca di qualche oggetto che si intoni con il quadro sullo sfondo: un telefono rosso, qualche caramella dello stesso colore. Mi sposta persino il registratore e lo nasconde perché non compaia negli scatti. Un’adorabile perfezionista. Eppure uno sgarro siamo riusciti ad ottenerlo: 30 minuti diventano 50, alle domande più o meno rituali si aggiungono deviazioni ed approfondimenti. Oltre a quello del telefono poggiato sul tavolo c’è un altro filo rosso che attraversa la conversazione: il sempiterno tentativo di Shara di coniugare la musica classica e il rock, il vecchio e il nuovo, la perfettibilità delle cose e l’imprevisto. Ma si parla anche di topi, concerti, burattini, cespugli di rose, voci stonate e, ça va sans dire, di alcune delle decine di collaborazioni che hanno costellato la sua carriera. Mettetevi comodi!

Ci racconti cosa ti ha portato dopo A Thousand Shark’s Teeth a optare per un album acustico tout court e scrivere per il sestetto yMusic?

È partito tutto dal concerto per la serie American Songbook organizzata dal Lincoln Center, che è stata per me un’opportunità per esibirmi con un ensemble più nutrito del solito. Erano tre anni che non scrivevo pezzi nuovi. Per questo concerto volevo presentare lavori inediti perché il programma era molto vasto… mi sentivo quasi come al ballo delle debuttanti. Hai presente, una sensazione del tipo: arrivi ai tredici anni e improvvisamente ti ritrovi al tuo “coming-out party”. Volevo mostrare un’immagine il più accurata possibile del punto cui sono arrivata ad oggi. I yMusic mi avevano chiesto di scrivere tre pezzi strumentali per loro ed io ero molto entusiasta del gruppo. Mi sentivo come se mi fosse capitato uno di quei momenti della vita da acchiappare al volo, altrimenti svaniscono in un batter d’occhio.

Bring Me The Workhorse e A Thousand Shark’s Teeth erano progetti che avevi in mente da molto tempo e che hanno avuto una lunga gestazione, specie il secondo. All Things Will Unwind sembra godere di una maggiore spontaneità. Credi possa essere considerato una ripartenza, archiviate le “vecchie” idee, o si collega ancora a certi obiettivi iniziali di My Brightest Diamond?

Molte delle canzoni di questo album, non tutte, sono state scritte ciascuna in un giorno. Nella maggior parte dei casi mi sono occupata degli arrangiamenti di ognuna per due giorni. Dal momento che tutto è successo in un periodo di tempo molto più breve che in passato, c’è molta più chiarezza e immediatezza in quest’album. Con Shark’s Teeth penso di aver mirato a un’espansione, a un incontro imprevedibile di strumentazioni rock e classiche. C’erano così tanti strumenti in quell’album che l’hanno reso una vera e propria sfida. Pertanto una delle cose che volevo fare con questo lavoro era saltare la fase di home recording, perché ho pensato che passando direttamente a quella di registrazione in studio e dando subito la massima attenzione ai dettagli con un altissimo livello di qualità, sarei stata meno tentata di caricare i pezzi con più e più suoni. Avere più spazio per far sì che ogni suono potesse guadagnare il massimo di significato possibile, questo è stato fondamentale. Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, credo sia difficile guardare indietro al vecchio materiale e decidere se rimanere fedeli alle vecchie idee o lasciarle perdere. Con Shark’s Teeth avevo bisogno di relazionarmi ancora con la me stessa di molto tempo prima, quest’album al contrario è tutto radicato nel presente.

Giuseppe Zevolli
Giuseppe Zevolli
Nato a Bergamo, Giuseppe si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere di musica per Indie-Eye. Vive a Londra dove si divide tra giornalismo ed accademia.

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