Nada è un’artista che i più oserebbero definire eclettica, ma siamo sicuri si tratti di eclettismo questa enciclopedica voglia di contaminare il folk con tutto ciò – e ribadisco, tutto – che non sia appunto folk? Partiamo da Vamp come se questo fosse il suo primo disco (cosa quasi impossibile se pensiamo alla lunga carriera della cantautrice livornese). Cosa troviamo? Una Nada “abbozzata” su una tela musicale, un dipinto le cui pennellate determinanti sono colpi di avantgarde sonora della migliore scuola indipendente; insomma, quello che c’era da dire, Nada lo ha detto (e dipinto) senza troppi giri di parole. Nada è andata a cercare queste canzoni, ha scavato e trovato un vecchio baule di ricordi frammisti a suggestioni estemporanee, poi ha chiamato dei bravi musicisti, gli artigiani del suono, e con loro ha montato queste visioni quasi fossero frammenti di celluloide in attesa dell’opera cinematografica finita. In Sirena, ad esempio, Nada dimostra di non aver smesso con i suoni fonosimbolici, non ha perso nemmeno quella vena grunge che vien fuori ascoltando La canzone per dormire, dove la ragazzetta impertinente se la prende pure col Cristo, secondo lei privilegiato rispetto alla sua condizione confusionaria. Questa condizione disordinata e caotica ritorna nella seconda traccia, La febbre della sera, uno degli episodi di alternative rock più riusciti dell’album (“costruiscimi una casa/ costruiscimi una casa/ su rete di ragni/ nel cielo degli aironi/ che è rete ribelle/ la ragnatela a stelle”). Vera sorpresa del disco è l’insistente Elettricità, musicalmente sospesa tra i sintetizzatori degli anni ’80 ed il marchio vocale di Nada, che si concretizza nei suoi tanto amati giochi vocali a tema sillabico. In Raccogliti, la sesta traccia di Vamp, Nada ritorna intimista e costruisce un campionamento monolitico percorso da parole di esortazione, un invito a raccogliersi intorno alla natura, un inno al bello in contrapposizione al brutto del “nucleare”, citato nella traccia precedente. Finalmente arriviamo al primo singolo, Il comandante perfetto, roba che nemmeno i Babyshambles più scanzonati sarebbero stati in grado di proporre (figuriamoci in Italia, nel nostro panorama musicale soporifero), con quel “down, down” finale che ci porta indietro alla schizofrenia di Luna in Piena. D’altronde non dobbiamo sorprenderci, Nada è passata – con grande coinvolgimento – dalla fase beat di Ma che freddo fa, all’emblema degli anni ’80 in Italia, Amore disperato, sino all’attuale stadio di cantautrice libera da ogni preconcetto culturale. In Stagioni, ad esempio, (canzone presente come bonus track in versione demo), Nada fa le scarpe alle nuove leve, quelle cantautrici come Cristina Donà, capaci di scrivere ottime ballate convulse, lontane dalla leziosità che normalmente contribuisce al binomio canzone lenta/romanticismo: l’età anagrafica è ormai un “vecchio” ricordo. Forse, Vamp non è un disco per tutti, forse, si tratta semplicemente di preservarlo dalla banalità della musica odierna e non abbiamo tutti i torti; ce ne accorgiamo leggendo alcuni versi dell’ultima traccia, l’andante Piantagioni di ossa, dove la Nada maliziosa e sessualmente vorace, si lascia andare, con misura, al passaggio più bello di tutto il disco: “pascolano le voglie/ senza farsi toccare/ pendono dalle labbra/ mute le parole”. Poesia.