Il norvegese Terje Nordgarden ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l’Italia: ha vissuto qualche anno a Firenze, ha inciso un paio di dischi (con l’aiuto di Paolo Benvegnù), è tornato nella sua Norvegia, fino a che, sull’onda del fidanzamento con una fanciulla siciliana, si è ritrovato a vivere ad Acitrezza. A livello climatico è certamente un salto non da poco ed effettivamente anche la sua musica ha risentito, sin dall’ottimistico titolo dell’album, di un ritrovato e rinnovato calore. Se in passato il cantautore dei fiordi aveva attraversato territori tali da farlo accostare ora a Jeff Buckley ora a Nick Drake, nel suo nuovo percorso affronta di petto i generi tradizionali della musica d’oltreoceano, forte anche dell’esperienza di un recente viaggio, con un gusto, diremmo, quasi enciclopedico. La brillante e corale title track iniziale suggerisce immediatamente che nebbie e atmosfere malinconiche (nonché, immaginiamo, tramonti ad ore che noi mediterranei nemmeno ci immaginiamo, sia nel bene che nel male) sono un ricordo e si attesta su binari soul blues che trovano un bello slancio nel ritornello, quasi “innodico” e da mainstream consumato senza essere banale. È in questi territori che il norvegese dà, soprattutto vocalmente, il meglio di sé, più convincente, da un lato, quando si avvicina ad atmosfere roots e country (anche nella successiva Schipol Blues), meno allorquando tenta la strada della canzone più marcatamente pop e sentimentale (Fool to Let You Go) o abbraccia influenze latineggianti, come nella bossanova evocata in Leaving o nella successiva slideggiante Keep It Shine On the Inside. Strumentalmente, com’è naturale, è lui a prendersi cura della maggior parte degli strumenti, circondandosi di una band di natura prevalentemente acustica, composta da amici scandinavi, con il supporto al contrabbasso e alla batteria di Fabio Genco: tutto è più o meno registrato in casa con buoni risultati, nonostante, forse, qualche maggior accorgimento finale in fase di mixaggio fosse necessario, soprattutto per mettere maggiormente in rilievo certe parti ritmiche. Al di là di queste lievi notazioni, stupisce come alcuni brani abbiano davvero caratteristiche giuste per raggiungere un pubblico ampio, con la giusta forza ed immediatezza: l’incedere quasi bacharachiano/beatlesiano con il piano puntato e terzinato di These Lovesick Blues e la splendida ballata They’re Building, They’re Building hanno l’impatto dei singoli di successo e manifestano un bell’equilibrio fra attenzione alla forma, scelta dei suoni piacevolmente “vecchio stile” e perizia nella ricerca melodica. Apprezzabile anche la scelta di non chiudere in pompa magna ma con atmosfere più crepuscolari, con echi addirittura di Springsteen e Vedder, che si avvertono nella tenera Some Work on You (ai cori c’è la compagna Sabrina Sciacca), e con l’esplicito e riuscito omaggio a Johnny Cash nel finale di Carousel on the Loose. Se il disco si espone indubbiamente ad accuse sintetizzabili nel “già sentito”, il bersaglio è centrato e sinceramente ispirato: rimane poi la curiosità di saggiare la resa dell’album in un contesto affrancato da quello della scena alternativa italiana.
Canzoni scritte da Terje Nordgarden
Prodotto e mixato da Terje Nordgarden
Registrato da Terje Nordgarden e Fabio Genco a casa e dintorni, a Marsala e Acitrezza, Hamar e Oslo, Norvegia
Masterizzato da Morgan Nicolaysen al Propilar Mastering, Oslo, Norvegia.
Terje Nordgarden: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, chitarra classica, armonica, tamburello, basso, resonator guitar, percussioni, banjo, diamonica, ukulele
Henrik Mosnes: organo, piano, fisarmonica
Kristian “Gesse” Edvardsen: basso
Fabio Genco: contrabbasso e batteria
Thomas Sandviken: batteria, percussioni, diamonica
Aleksander Pettersen: batteria [/box]