Il secondo album di Ólöf Arnalds, Innundir Skinni (tradotto “sotto pelle”) giunge a tre anni dal crepuscolare debutto Við og við, accolto con entusiasmo dalla critica di tutto il mondo nonostante l’iniziale debole diffusione e già considerato un piccolo miracolo indie-folk in Islanda, dove Ólöf compartecipa alla fervente ondata di ispirazione musicale della sua generazione. Prima di imbarcarsi nella recente produzione solista Ólöf ha preso parte a numerosi progetti in madrepatria, oltre ad aver accompagnato in tour i Múm a partire dal 2003. A conferma del clima collaborativo e ispirato del contesto islandese è la rinnovata produzione di Kjartan Sveisson, alle tastiere nei Sigur Rós e la presenza nel disco, tra i meno noti, della stessa Björk, con cui Ólöf duetta nella splendida Surrender. Le delicate trame della sua scrittura restano affidate a una strumentazione acustica e alla voce cullante, capace qui di farsi più zuccherina e persino gioiosa rispetto alle sfumature di grigio impiegate nel debutto, sul cui sfondo rifletteva la morte del padre. Innundir Skinni prende vita anche dall’esperienza di gravidanza dell’artista, cui si riferisce esplicitamente il titolo. La spensierata Vinur Minn parte come una semplice melodia canticchiata in solitaria e si trasforma in un corale sing-along orchestrato alla perfezione, germogliando spontaneamente come una scena da musical. La title-track è il picco intimistico del disco: la voce vespertina di Ólöf si adagia su un letto di ovatta, accompagnata dalla sola chitarra e da flebili cori. In Crazy Car,in duetto con Ragnar Kjartannson, compare l’inglese, con cui Ólöf cerca di dissuadere un’amica musicista a cercare successo in America, intessendo una fugace cantilena malinconica. Nel prosieguo dell’album fanno la loro comparsa riferimenti a radici folk disparate: Vinkonur echeggia la Cina e trasale in momentanei gorgheggi, Jonathan finisce in territori celtici, Madrid recupera un’atmosfera mesta da fado e dialoga con gli archi come mossa da un oscuro presentimento. Surrender è certo uno degli episodi più notevoli ed è la curiosa unione con la voce di Björk, neanche a dirlo,a costruire la tensione. Il timbro tagliente di Björk e i suoi riconoscibili acuti accompagnano il mandolino mentre Ólöf incanta l’ascoltatore facendolo regredire al grembo materno (“I carry you, I nurture you, I give birth to you”, dice nel testo). Il disco si chiude con Altt i Gudi, una corsa leggiadra e sospirata verso scenari luminescenti. Innundir Skinni allestisce con grazia atmosfere minimali non prive di spunti imprevedibili. Ólöf dimostra classe e misura, facendo delle sue piccole canzoni accoglienti rifugi per lasciarsi incantare.