mercoledì, Dicembre 25, 2024

Ólöf Arnalds – Sudden Elevation (One Little Indian/Self, 2013)

C’era da aspettarsi che Ólöf passasse in toto all’inglese. Al lavoro da due anni al seguito dell’ottimo Innundir Skinni, la cantautrice e polistrumentista islandese compilò di sfuggita nel 2011 un breve EP di cover (Ólöf Sings) in cui sottoponeva al delicato trattamento della sua voce un po’ bambina (Björk ci azzeccò nell’identificarla “somewhere between a child and an old woman”) brani di Bruce Springsteen, Arthur Russell, Caetano Veloso, Neil Diamond e Bob Dylan. Sudden Elevation reitera l’intimismo dei predecessori, intessendo racconti d’amore dall’effetto perlopiù ipnotico e ammorbidente. Co-prodotto con l’ex Sugarcube Skúli Sverrisson, il disco per la prima volta ha beneficiato di un periodo ininterrotto di produzione e registrazione, concedendosi uno sviluppo unitario che a detta dell’artista rincorre l’idea di lavoro “completo”. Il risultato è eccellente pur nell’indissolubile omogeneità che contraddistingue il sound di Ólöf. Le dolci trame di chitarra e charango, assieme alle percussioni appena accennate, scivolano attorno al suo inventario folk d’altri tempi (Return Again in particolare flirta con studiati anacronismi) ricreando sensazioni dolceamare: “and we’re born to fall”, ci sussurra a tradimento nella title-track. A tratti la narrazione si fa più tangibile (la deliziosa A Little Grim, i passi falsi di German Fields), ma è un minimalismo insistito a farla da padrone, rendendo il disco ancor più gentile e aggraziato, se possibile, di Innundir Skinni. Call It What You Want, con i suoi toni leggermente più esasperati, scorre nei territori della tarda Joanna Newsom e si lascia apprezzare per una verve più decisa ed empatica. Anche la finale Perfect, pur nel suo essere dolce come una ninna-nanna, si attorciglia attorno a una ripetitività e a una coralità che prendono l’ascoltatore per mano senza diluirsi nel vuoto. Non guasterebbe ritrovare tra le pieghe di un disco così ben scritto e confezionato qualche nota in più di vigore: un po’ più incisivo e un po’ meno carezzevole. Per lasciare il segno, non per altro.

 

 

Redazione IE
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