Attivi dal 2001, ma solo dal 2005 con la formazione attuale, i Passover, dopo la classica gavetta fatta di concerti su e giù per l’Italia e di un paio di demo, arrivano a licenziare il loro debutto full-length grazie alla Elevator Records, piccola ma agguerrita etichetta marchigiana.
Il suono del quartetto piemontese (di Novi Ligure) è chiaramente identificabile fin dai primi accordi: si tratta di stoner rock con tonificanti aggiunte di rabbia grunge, lontano dalle intrusioni psichedeliche e dalle derive verso il metal e il doom che hanno caratterizzato ultimamente il genere. Nulla di nuovo quindi, quasi inutile citare i Queens Of The Stone Age e i Fu Manchu tra le influenze principali e i Soundgarden tra quelle per così dire laterali.
La novità principale dei Passover risiede nel cantato in italiano, raramente affrontato da band del genere; in questo senso possono tornare alla mente una serie di gruppi hard rock degli anni ’90, ad esempio i Karma (ora anch’essi convertiti col nome Juan Mordecai allo stoner, ma in inglese) e la loro ricerca di drammaticità (spesso esagerata) anche nella voce. Anche i testi sembrano seguire il filone tracciato da quei gruppi, con riferimenti soprattutto ad esperienze personali, non brillando purtroppo né per particolare originalità né per senso poetico. Il peggior esempio in questo senso è in “Polietilene”, quando si afferma non ammetto, non ammetto, sotterfugi dentro al letto.
Va invece sottolineato l’ottimo lavoro di produzione, che riesce a rendere appieno la potenza sia del tappeto ritmico sia delle bordate chitarristiche, che fanno il loro sporco mestiere erigendo un muro di suono compatto e coinvolgente, come richiesto dal genere.
Un disco che può quindi essere visto come un passo nella crescita della band, con miglioramenti possibili sia dal punto di vista della proposta musicale, con una maggior ricerca di nuovi orizzonti, sia delle liriche, che in questo momento sembrano il punto debole più evidente dei piemontesi.