La grande famiglia dei Fleet Foxes continua ad ampliarsi e a proporre musica e dischi. Questa volta tocca a Zach Tillman, fratello di Josh, il batterista del gruppo rivelazione del 2008 (che attendiamo al varco del secondo LP). Così come il fratello anche Zach tenta la carta del disco solista, con il moniker di Pearly Gate Music. Ciò che possiamo ascoltare sull’album è una versione lo-fi di quello che i Fleet Foxes hanno proposto finora: i richiami alla tradizione americana e l’uso delle linee vocali sono infatti gli stessi, ma rivisti in chiave meno elaborata, a tratti da “buona la prima” o da serata con gli amici. Non mancano però momenti più raccolti e vicini ai blues scheletrici e desertici che contraddistinguono la produzione di Josh in solitaria, con voce dolente e chitarra slide in evidenza. La formula convince, ma fino a un certo punto. Infatti, se da un lato ci sono brani assolutamente degni di menzione e di un ricordo, come i caroselli poppeggianti di Big Escape e Oh, What A Time!, basati su melodie solari e californiane, o i saliscendi emotivi di Gossamer Hair, che passa da momenti acustici ad accelerazioni elettriche, o ancora la languida ballatona I Was A River, con la miglior prestazione vocale di Zach, dall’altra ci sono pezzi che lasciano ben poco. A partire dal brano iniziale, Golden Funeral, che vorrebbe creare emozione ma riesce solo ad annoiare protraendosi per oltre quattro minuti senza alcun sussulto, proseguendo con Navy Blues, che sembra una out-take delle volpi di Seattle senza però né classe né fantasia, per arrivare a Rejoice, che chiude l’album arrancando con poche idee per quasi sei minuti. Zach è giovane e ha indubbiamente del talento. In futuro potrà sicuramente trovare la sua strada, affrancandosi magari dai legami fin troppo forti con il fratello e la sua band. Per ora possiamo solo dire che qualcosa di buono c’è, ma non è espresso al 100%.