Eccoci di nuovo faccia a faccia con i The Walkmen, gruppo della scena Rock indipendente Americano che si appresta a sfornarci il loro sesto sigillo, Lisbon (N.D.R. a due anni di distanza dal notevole You & Me). Quando dal cilindro hai estratto un lavoro come Bows + Arrows senza mai ripeterne la qualità e il successo, viene da storcere il naso e atteggiarsi un po’ prevenuti nei riguardi di un eminente uscita discografica. In questo specifico caso mossa sbagliata direi. Staccati, finalmente, da ogni probabile riferimento ai “parenti” The Strokes, i ragazzi catapultano dodici brani che paiono il frutto di una miscela combinata perfettamente. Se da un lato in Angela Surf city ci rimandano a sonorità californiane passate, un istante dopo in Blue as your blood sembra di cavalcare il finger picking di Johnny Cash rivisitato in chiave moderna. In Stranded ci si immerge invece nella classica atmosfera da parata cittadina di borgo statunitense , con trombe risuonate a perdifiato e tamburi celebrativi fusi al cantato quasi innico dal leader Hamilton Leithauser che mette in dote attitudini canore e compositive che in passato forse non erano emerse così nitidamente. L’unico tratto incupito di questo intero operato è riscontrabile in All my great design, dove emerge uno spaccato nostalgico assolutamente unico, in un quadro fresco e dinamico. Molto attinente ai magistrali suoni di Jeff Buckley invece Torch Song, che, manco a dirlo, si concretizzano e fondono alle risonanze dell’ispiratore per eccellenza Leonard Cohen in While i shovel the snow . Riepilogando la struttura di Lisbon appare ben formulata e coerente, sicuramente da considerarsi una svolta definitiva per i cinque originari di Washington. Si consolida chiaramente che vi è molto di più del semplice ricercare qualcosa di perso nel tempo, c’è sicuramente il volere collettivo di scrollarsi dalle spalle un altalenante vena compositiva, in questo, la maturità ha di certo aiutato i The Walkmen nell’intento. Da sentire.