domenica, Dicembre 22, 2024

Timber Timbre – Creep On Creepin’ On: la recensione

Il titolo non mente. Il nuovo album del trio canadese Timber Timbre, a due anni dall’omonimo debutto ufficiale su Arts & Crafts, tra i nominati del Polaris Music Prize 2009, prosegue la linea inaugurata fin dalle autoproduzioni del 2006 e 2007: un connubio perfetto di blues spettrale e folk a tinte fosche, coesi dal crooning rarefatto di Taylor Kirk, capace di stendere un velo di romanticismo sui generis che stempera qua e là la creepiness indiscussa delle composizioni. Il disco, scritto da Kirk due anni fa a Sackville, è stato registrato a Montreal allo studio Treating Room con Kees Dekker e in un secondo momento in una chiesa adibita a studio con la supervisione di Mark Lawson, già a fianco degli Arcade Fire. “The idea is to make music we love and therefore embrace the risk of sounding like all the music we’ve ever loved, all at once,” spiega Taylor a proposito del disco. Di fatto Creep On Creepin’ On non solo continua a esplorare l’immaginario fumoso ben esemplificato dal suo predecessore, ma spesso sembra volerlo coniugare con la ricerca della canzone perfetta, di una composizione paradossalmente cristallina, meno minimalista che in passato, che dell’oscurità sa far virtù. Il saliscendi tra diversi generi (non solo il blues e il rock, ancora una volta alla Screaming Jay Hawkins, ma root folk, doo-wop e isolate incursioni chamber pop) tinge il progetto di eclettismo, facendo dell’album un lavoro in cui nell’insieme “tout se tient”. La perfezione si sente di certo nell’apertura di Bad Ritual, una danza macabra in cui la voce narrante è sferzata da un pianoforte sempiterno; il violino di Mika Possen si risveglia da lontano, ottenebrato da qualche rumorismo ad hoc. L’atmosfera si fa più paranoica e asfittica con Obelisk, un battito cardiaco da incubo cimiteriale tutto a servizio del violino. La title-track scende a compromessi con la luce e costruisce un’ariosa melodia tra il sognante e il grottesco, con il contributo del sassofono di Colin Stetson. I sei minuti di Black Water vestono gli stessi panni rilassati e mentre Kirk canta “All I need is some sunshine” fa capolino una lieve monotonia, spezzata dall’oscuro interludio strumentale Swamp Magic. Woman staglia un’interpretazione presleyana su uno scenario acido quasi psichedelico. Il romanticismo di cui si parlava arriva dopo il mid-tempo di Too Old To Die Young, nella accorata Lonesome Hunter, in cui Kirk chiede di rompere l’incantesimo amoroso di cui è vittima, senza mai mettere da parte l’ispirazione noir che gli è propria (“I’m walking like a zombie to your bed”). Do I Have Power si trasforma da un esile racconto supportato da una mesta auto-harp in un mortifero pezzo jazz dominato ancora una volta dal sassofono. Ceep On Creepin’ On riflette bene uno stile personale pluricontaminato come quello di Kirk e mettendo l’ascoltatore a metà strada tra l’inquietudine e il sogno finisce per tenere alto il tasso di curiosità e coinvolgimento per tutta la sua durata. In questo senso “Creep on” suona quasi come un invito. Davvero un peccato astenersi.

Giuseppe Zevolli
Giuseppe Zevolli
Nato a Bergamo, Giuseppe si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere di musica per Indie-Eye. Vive a Londra dove si divide tra giornalismo ed accademia.

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