(foto di Francesca Pontiggia)
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Heavy Ghost è il debutto full lenght per David Stith ovvero DM Stith, uno degli acquisti più recenti per Asthmatic Kitty Records, di cui abbiamo parlato recentemente scrivendo a proposito del suo primo Ep intitolato “curtain speech”. Heavy Ghost conferma le aspettative, Stith ci consegna una raccolta di brani fortemente visionari, sempre in bilico tra estasi e oscurità, sfiorando reminiscenze gospel e un’ossessione per il ritmo apparentemente contrastata da un notevole talento per l’orchestrazione, elementi che sembrano provenire da un insieme ricchissimo di influenze. Mixato da Rafter Roberts e realizzato con il supporto di Shara Worden, Heavy Ghosts è un album assolutamente personale e per certi versi sorprendente. Invece di recensirlo, abbiamo incontrato DM Stith a Milano e gli abbiamo fatto alcune domande sulla sua musica e sulla realizzazione di Heavy Gost, in uscita a Marzo…
Prima ancora di parlare del tuo debutto full length, che troviamo molto bello e ricco, vorrei tu raccontassi ai lettori di IE il tuo percorso musicale considerando anche la quantità di brani ancora inediti che sono presenti sul tuo sito ufficiale…
Vengo da una famiglia che ha vissuto in mezzo alla musica; mio nonno era il preside della facoltà di musica alla Cornell University e un direttore d’orchestra; anche mio padre è un direttore, mentre mia madre suona il piano e le mie sorelle cantano. Quando ero piccolo ho preso lezioni di piano, tromba e chitarra, ma non ho intrapreso la carriera musicale, unico nella mia famiglia. Forse ho abbandonato perché di solito ci esibivamo tutti in chiesa, poiché la mia famiglia è molto religiosa, e io odiavo questa cosa. Crescendo mi sono interessato alla visual art e alla scrittura e le ho scelte come modo per esprimermi, pur continuando ad ascoltare e ad interessarmi di musica. Ho continuato per la mia strada artistica, arrivando ad insegnare scultura al college, cosa che faccio ancora. Poi, 5 anni fa, mi sono trasferito a New York e ho incontrato Shara Worden; grazie a lei mi sono sentito a mio agio nel proporre la mia musica, iniziando il percorso che mi ha portato fino ad Heavy Ghost. Per quanto riguarda il materiale presente sul mio sito, si tratta più che altro di esperimenti, registrati col mio computer negli scorsi anni. Invece la scelta di fare un disco è più recente, ciò che appare sull’Ep “Curtain Speech” e su “Heavy Ghost” è stato scritto nel periodo tra dicembre 2007 e giugno 2008.
Come sei arrivato ad Asthmatic Kitty?
E’ stato grazie a Shara Worden. L’ho incontrata la prima settimana dopo essere arrivato a New York. Era amica del mio coinquilino; l’ho conosciuta in salotto, non sapevo fosse una musicista e lei non sapeva nulla di me; poi mi ha fatto conoscere i Clogs e altri personaggi della scena musicale della città. Ho iniziato a collaborare con lei come visual artist, creando l’artwork per “Bring Me The Workhorse” e “A Thousand Shark’s Teeth”; in questo modo sono entrato in contatto con Sufjan Stevens, Michael Kaufmann e il resto dell’etichetta.
Nella tua musica sono presenti molte influenze, ma in un certo senso le forme predominanti sembrano tutte derivazioni dello spirito e dell’anima, penso al gospel, al blues, alla musica brasiliana…
Tra i miei generi musicali preferiti ci sono quelli appena elencati, specialmente quelli che tramite la voce riescono a metterci in contatto con il nostro spirito. Per esempio mi piacciono Nina Simone, Caetano Veloso, Violeta Parra; sono gli autori che cerco di emulare maggiormente, ma non solo. Infatti ascolto anche molta musica classica.
Come è intervenuto Rafter Roberts sui brani che compongono Heavy Ghost?
Gli ho portato le canzoni registrate e finite e lui le ha mixate. E’ stato un grande, un amico. Ho lavorato con lui due settimane durante le quali mentre lui mixava io passavo anche 8 ore al giorno a lavorare sulle canzoni in un altro studio.
Ho letto che la registrazione dell’album è stata effettuata in luoghi non convenzionali, sfruttando per lo più riverberi naturali come quelli di una chiesa, o di una camera, o di una cucina, come mai questa scelta?
Lavoravo e registravo con un laptop; il mio appartamento è molto piccolo, quindi non avevo altra scelta. Ho dovuto registrare le parti di archi in uno studio, che era piccolo, ma sicuramente più grande del mio appartamento, e spostarmi in altri luoghi, per esempio in una chiesa per le parti di piano.
Quanto ti ha influenzato un certo tipo di musica “classica contemporanea”? Penso alla struttura pianistica di Isaac’s songs, ai Drones di WIG…
Penso di essere il maggior ascoltatore di musica classica nella mia famiglia, intesa come musica per orchestra e corale. Sono interessato dalle forme come le fughe e le sinfonie, da compositori come Mahler che esprimevano le loro qualità attraverso queste composizioni. Per me è molto naturale muovermi attraverso le canzoni e agire sulla loro struttura.
Un esempio può essere “Just once”, il brano tratto dal tuo precedente EP; è una traccia dalla struttura molto complessa e spiraliforme; ha un incedere epico e allo stesso tempo oscuro, apocalittico, ma è la tua voce che connette tutta l’orchestrazione, dilatando tempo e spazio dell’ascolto; sei d’accordo su questo?
Sì, mi piace sentire le interpretazioni di altre persone su ciò che faccio, perché quando lavoro seguo quello che sento in quel momento e che mi viene naturale. Così posso inserire parti di archi o momenti corali, anche seguendo il mood in cui mi trovo in quel momento: allo stesso modo mi trovo ad utilizzare strutture circolari, come se fossi fermo ed ossessionato da un’idea ben precisa.
Restando sul discorso della voce, come hai sviluppato una vocalità cosi particolare?
Cantavo con la mia famiglia quand’ero piccolo e anche in un coro intorno ai 10 anni. Non mi piaceva però esibirmi, non mi trovavo bene nel condividere la mia voce con qualcuno che ascoltasse. Poi, al liceo, la mia voce è cambiata, come è naturale, ed è diventato molto difficile per me, non controllavo i toni bassi; in pratica cantavo da solo, mai in pubblico, trovandomi meglio col falsetto o comunque su toni alti. Quando poi la voce si è stabilizzata ho ritrovato fiducia anche nel cantare davanti ad altre persone.
Sempre a proposito di voce, sono incuriosito da un brano come Creekmouth; lo trovo molto bello e sembra riferirsi ad un altro aspetto della tua musica, quello della ricerca ritmica, tribale e preformale che in parte fa pensare ad Animal Collective ma anche alle cose più sperimentali di Peter Gabriel..
Amo entrambi gli artisti che hai citato; in particolare trovo fantastici gli Animal Collective. Credo che abbiano un approccio alla musica simile al mio, come un’esperienza emotiva che vogliono trasmettere a chi ascolta. Inoltre ho sempre apprezzato artisti di musica elettronica, come Aphex Twin, Chris Clark e gran parte dei lavori della Warp. In generale ho sempre amato il ritmo, mio padre è anche un percussionista, anche per questo ho sempre avuto a che fare con il ritmo. Spesso mi ritrovo a tamburellare aritmicamente sul volante mentre guido, il ritmo è sempre con me, in pratica.
La tua musica mi sembra che stia in un confine molto particolare tra la ricchezza dell’orchestrazione e un’estrema sintesi ed essenzialità; quasi come se ci fossero delle reminiscenze glam (Marc Bolan, Bowie) e allo stesso tempo la voglia di spazzarle via con un approccio rigoroso, minimalista…
Credo che dipenda dal fatto che ascolto molti generi musicali differenti; per esempio amo le dissonanze dei Sonic Youth così come le melodie senza tempo di Mahler o Strauss. Per me non c’è quindi un’unica via nell’approccio alla musica, è giusto che ci rientri ogni influenza.
Come fai a rendere questo contrasto dal vivo? Ovvero, come presenti i tuoi brani su un palco, da solo o con un ensemble?
Finora ho sempre suonato da solo, ma sto preparando un tour per l’estate in cui suonerò con altre due persone; ho scelto due musicisti molto flessibili, in grado di suonare vari strumenti e anche di giocare con la voce. Cercherò di stare lontano da quanto ho registrato, dare nuove interpretazioni ai brani. Verrò anche in Europa e in Italia, anche se non so ancora esattamente quando.
L’ultima domanda riguarda invece il tuo ruolo di disegnatore di copertine ed artwork. Come ti approcci ad un disco su cui devi lavorare? Cerchi di rendere visivamente ciò che la musica ti trasmette mentre la ascolti?
Sì, è quello che tento di fare. E’ sempre molto difficile però; con My Brightest Diamone ho lavorato molto a contatto con l’artista, Shara stessa mi considerava come un membro vero e proprio della band; lei colleziona artwork e stampe di varia provenienza e quello è stato un punto di partenza. E’ stato difficile anche disegnare la copertina del mio stesso disco, ho faticato a rendere lo spirito della musica, anche se ne ero io stesso l’autore.