Se di questi tempi hai l’ardire di sceglierti un nome come Elettrocapra puoi star sicuro che il tuo biglietto da visita non aprirà molte porte. Se poi fai la musica che fai e butti persino sul piatto una cover di Luis Miguel (Youtube testimonia una Noi, ragazzi di oggi), rischi di essere per sempre destinato alle stalle. Per contro – sempre che la cosa possa avere un qualche valore per qualcuno – hai buone probabilità di guadagnarti il mio sempiterno rispetto. L’attuale scena indipendente, come ho già avuto modo di far presente (https://www.indie-eye.it/recensore/generi/indie/pissed-jeans-honeys-sub-pop-2013.html), mi suscita più di una perplessità. Una questione di atteggiamenti, ancora prima che di meriti artistici. Che comunque, pure quelli. Di conseguenza saluto con gaudio un gruppo di connazionali (ma che dico connazionali, concittadini) che elegge a propri numi tutelari esclusivamente gli storpi, i gobbi e i lebbrosi della storia del rock. Personaggi come Birthday Party, Primus, No Means No, Jesus Lizard e Mike Patton (in qualunque sua forma) vengono qui saccheggiati a piene mani. Insomma, non stiamo esattamente parlando di The Beautiful People. Anzi. Ad essere sinceri, se mai Umberto Eco decidesse di aggiornare il suo Storia della Bruttezza, gli Elettrocapra si meriterebbero un capitolo a parte. Questi non possono essere dei ragazzini, che un approccio di questo tipo presuppone troppa intelligenza. Maltomini Marco sarebbe fiero di loro.
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